L’ultima opportunità di tornare agli accordi di Parigi si aprirà lunedì a Baku, in Azerbaijan, dove dall’11 al 22 novembre si terrà la conferenza dell’Onu sul clima. La priorità: riformare il fondo da 100 miliardi per il sostegno della decarbonizzazione dei Paesi in via di sviluppo
Mentre il mondo si avvia verso un anno da record per il riscaldamento globale, le speranze per azioni concrete sul clima si concentrano a Baku, in Azerbaijan, dove lunedì 11 novembre 2024 cominciano ufficialmente i lavori della ventinovesima conferenza delle parti (Cop29), il meeting delle Nazioni Unite dedicato ai cambiamenti climatici.
L’ultima possibilità per salvare il nostro pianeta
Le aspettative a dire la verità sono piuttosto basse, per un paio di motivi: l’elezione di un grande scettico, sulla natura antropica del cambiamento climatico, come Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti (primo emettitore di gas serra del pianeta); la scelta del Paese ospitante (l’export azero è costituito per oltre il 90% da combustibili fossili); infine i temi sul tavolo, principalmente di ordine economico-fiscale.
Insomma tutto lascia presagire che l’incontro si concluda senza novità importanti. Quando invece sarebbe un appuntamento fondamentale per mantenere in carreggiata gli accordi di Parigi e quindi la possibilità di contenere l’aumento delle temperature entro i livelli di guardia. Continuare a immettere nell’atmosfera gas serra utilizzando combustibili fossili potrà infatti solo aggravare il riscaldamento globale e gli eventi meteo estremi che – come mostrato dagli ultimi fatti di quest’anno – danno fin troppo spesso mostra di sé.
I record del 2024: un altro “annus horribilis”
Proprio in questi giorni, il servizio per il Cambiamento climatico di Copernicus, il programma europeo di osservazione del pianeta Terra, ha annunciato che il 2024 è quasi certamente destinato a diventare il primo anno in cui le anomalie termiche avranno superato stabilmente il grado e mezzo al di sopra delle medie dell’epoca pre-industriale. La soglia è quella segnata dagli accordi di Parigi e per ora ha una valenza solamente simbolica: le medie con cui lavora la climatologia sono trentennali, e non sarà quindi un singolo anno a condannare (o se è per questo, a salvare) il pianeta. Ma è comunque un messaggio difficile da ignorare, anche perché se i prossimi due mesi continueranno nella direzione segnata fino a ora, il 2024 sarà stato a tutti gli effetti l’anno più caldo mai registrato dai nostri strumenti di rilevazione.
Stando ai dati di Copernicus, il 2023 si è chiuso con una media annuale superiore di 1,48 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Fino ad ora, il 2024 ha fatto segnare un’anomalia termica superiore di 0,16 gradi a quella dell’anno precedente, e a meno di un crollo delle temperature nei prossimi due mesi è quindi destinato a concludersi ad almeno 1,55 gradi sopra le temperature pre-industriali.
Non è quindi un caso se gli eventi meteo estremi (che vengono alimentati dalle temperature elevate) non sono mancati: dall’alluvione che a partire dallo scorso marzo ha ucciso oltre mille persone tra Afganistan e Pakistan, al tifone Yagi che ha devastato il Sudest Asiatico, uccidendo oltre 800 persone, fino alle piogge intense che hanno colpito il Mediterraneo, allagando prima l’Emilia Romagna, e raggiungendo quindi la Spagna, dove la Dana che ha colpito l’area di Valencia ha provocato più di 200 vittime, classificandosi tra i peggiori disastri naturali che abbiano mai colpito il paese.
La Cop29: obiettivo da un milione di miliardi
In questo contesto si appresta ad aprire le porte la Cop29, appuntamento dedicato quest’anno al tema della finanza climatica. Al centro delle contrattazioni delle delegazioni Onu ci sarà infatti il fondo dedicato ai Paesi più vulnerabili, finanziato dalle nazioni più industrializzate (e quindi emettitori storici di gas serra) per aiutare anche le economie più deboli ad affrontare la transizione energetica. Il progetto sul tavolo è quello del New Collective Quantified Goal, un fondo che dovrebbe sostituire quello da 100 miliardi di dollari l’anno che era stato promesso con gli accordi di Parigi, che è entrato a regime solo nel 2022, e che i paesi in via di sviluppo sperano che possa veder aumentare gli sforzi messi in campo dalle nazioni più ricche, con un target di circa un milione di miliardi di dollari l’anno a partire dal 2025 (un 1 seguito da 15 zeri).
I negoziati si annunciano però complicati. Sia sul piano della gestione dei fondi (che i destinatari vorrebbero affidata a loro, mentre i donatori pretendono un sistema per controllare in che modo vengono spese le risorse), sia sulla ridefinizione della platea dei finanziatori. Attualmente, infatti, è basata su una definizione datata di paesi “industrializzati”, che non comprende ad esempio potenze economiche e industriali ormai affermate come la Cina e i Paesi del golfo arabico, oggi grandi emettitori di gas serra al pari di Europa e Stati Uniti, che fanno ovviamente resistenza quando si cerca di farli passare nel gruppo dei finanziatori del fondo.
La posta in gioco: salvare gli accordi di Parigi
Arrivare al termine della Cop29 con obbiettivi economici chiari e condivisi sui finanziamenti per la transizione energetica, che indichino con precisione quanto e chi pagherà, chi saranno i beneficiari e come potranno spendere i soldi, sarebbe un traguardo fondamentale per mantenere vivi gli accordi di Parigi. L’anno prossimo è infatti previsto il prossimo round di progetti per la decarbonizzazione e l’adattamento climatico che andranno sottoposti da tutti gli Stati alle Nazioni Unite. E in quest’ottica, le risorse messe sul piatto dal New Collective Quantified Goal saranno fondamentali per moltissime nazioni per porsi obbiettivi ambiziosi, che permettano di iniziare al più presto a ridurre la quantità di emissioni prodotte a livello globale. In molti la considerano l’ultima possibilità per tornare sulla via tracciata dagli accordi di Parigi, e raggiungere l’obbiettivo indicato dall’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) di dimezzare le emissioni climalteranti entro il 2030.