I ribelli siriani hanno messo in fuga l’esercito regolare che risponde a Bashar Assad alla periferia di Aleppo. Negli scontri coinvolte anche forze speciali russe impegnate nella difesa del regime siriano. La città al centro di un intricato risiko di potere per il controllo della regione
Si fanno chiamare “rivoluzionari siriani” i protagonisti della “nuova guerra” per Aleppo iniziata oggi in Siria. In un contesto davvero complicato dove le armi non hanno mai fatto mai silenzio, un elemento non nuovo ma meglio organizzato punta a liberare la città. Un progetto ambizioso.
Hanno preso le armi a difesa dei cittadini che quotidianamente, e sempre più spesso, vengono attaccati dalle forze armate dell’esercito che risponde al governo di Bashar al-Assad. Il pretesto addotto dal governo di Damasco è quello di voler eliminare le sacche di Isis ancora presenti, ma in mezzo e non da oggi, ci finiscono sempre i civili.
Ma è un contesto complicato quello siriano: anche i miliziani islamisti di Al Nusra sferrano attacchi qui, con l’obiettivo di indebolire il regime siriano, come spiegheremo poi.
I rivoluzionari siriani sono arabi, curdi e cristiani che seguono il solco tracciato dalle Forze democratiche siriane (l’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache) in Rojava, la regione al confine con la Turchia, a maggioranza curda, dove si sta mettendo in pratica un progetto di società – il confederalismo democratico – diventato il cappello delle forze di liberazione che hanno cacciato l’Isis dal nord est della Siria.
Un modello organizzativo che – per il presidente della Turchia Recep Erdoğan – rappresenta una minacciosa alternativa ai modelli di governi accentratori, teocratici e autoritari tipici del Medio Oriente. E che sta mettendo in pratica anche Assad in Siria.
Nusaibyn o come la chiamano i curdi Mimbice, è una città chiave per il progetto del confederalismo democratico e anche per questo motivo tutti gli attori in campo mirano a conquistarla. Questa città di medie dimensioni è stata durante il periodo in cui Isis ha avuto il massimo controllo territoriale in quello che definivano il Califfato, la vera capitale di Daesh in Siria. Non Raqqa come spesso si diceva.
La sua posizione geografica è a dir poco strategica, qui passa una delle arterie autostradali più importanti della Siria. Qui si è combattuta una battaglia epocale nel 2014, durata mesi, che ha visto poi sconfitti gli uomini del Califfato. Ai curdi e ai siriani che hanno combattuto diedero una mano anche gli americani che sono stati in Rojava fino al 2019, quando poi li richiamò Trump che era al suo primo mandato.
Via i russi arrivano gli Usa
Fino a quest’estate a garantire equilibrio nella regione c’era la presenza dei russi, che avevano delle basi che ora però sono state smantellate e dopo anni si sono tornati a vedere dei soldati americani.
Assad è il grande alleato della Russia di Putin, ma anche dell’Iran. Anche quest’ultimo non vede di buon occhio l’esperienza democratica che si sta sperimentando in Rojava. Sono state proprio le donne curde iraniane a dare vita alla protesta del hijab. Masha Amini, la ragazza iraniana simbolo della mobilitazione in Iran è curda. Anche lo slogan, “donne, vita, libertà”, lo è. E Teheran sfruttando i rapporti di forza che ha con Baghdad, che da grande nemico è qualcosa di più un grande alleato, attacca le postazioni del Rojava da Der E Zor, la porta tra la regione e l’Iraq. Fino ad ora sono state sempre respinte ma anche questo tipo di confronti armati sono sempre più presenti.
La nuova battaglia di Aleppo
La difesa di Aleppo da parte di chi vuole espandere l’esperienza democratica in Siria, è un’idea che ad Assad non piace affatto. Ma è un problema anche per Erdogan. Da quando è terminata la guerra a Isis, ancora presente con delle piccole roccaforti nel sud della Siria e in Iraq, i mercenari che prima erano al soldo del Califfato hanno trovato nella Turchia una nuova fonte di reddito. Nel solo cantone di Afrin gli attacchi alla popolazione a maggioranza curda vengono messi in atto in ogni modo, anche con attacchi portati avanti da militari regolari e mercenari.
La Turchia usa i suoi droni ma anche l’aviazione, attacca villaggi e città. Non solo morti e feriti, la volontà è quella di far scappare la gente, di spostarla da lì. Ma si resiste anche lì.
La Turchia pretenderebbe che la Siria le concedesse trenta chilometri entro il confine in modo da formare una sorta di cuscinetto. Ma questa fascia di terra, basta consultare una mappa, comprenderebbe in pratica tutte le città curde del Rojava.
Qamishlo, Amuda e la stessa Kobane, che è di certo la più nota. E ovviamente Afrin e tutto il resto. Del Rojava rimarrebbero solo Hassaka e Raqqa, che sono anche le città più arabe della regione. Intanto la Turchia commissaria municipi e fa destituire e arrestare i sindaci curdi democraticamente eletti dal partito Dem nel sud del Paese, come nel caso della città di Merdin.
Dal canto suo Assad, seppure protetto da Russia e Iran, oltre alla questione curda e alle frizioni con Erdogan ha i suoi problemi anche nelle aree dove dovrebbe avere ancora il controllo. Non solo Aleppo, come dicevamo all’inizio, ma anche nel sud della Siria Al Nusra attacca villaggi e postazioni militari, distruggendo le immagini di Assad e del padre. Il Fronte Al Nusra è un movimento fondamentalista siriano,nato durante la guerra civile siriana all’inizio del 2012. Il suo nome è legato soprattutto all’emersione dell’estremismo islamico all’interno dell’opposizione a Bashar al Assad. Da sempre considerato come la filiale in Siria di Al Qaeda, rivendica però una sua autonomia e mai come in queste ultime settimane hanno rivendicato azioni e attacchi.
Di tutt’altro tipo di autonomia invece si parla tornando alla questione curda, che è il vero nodo di tutta la questione. L’azione militare andata sempre di pari di passo con quella politica e la loro battaglia per i diritti è il vero spauracchio per Assad, per Erdogan e per Teheran, di conseguenza per i loro alleati.