Attacco in carcere a Filippo Turetta dopo la condanna per omicidio
Un pugno, perché non gradito. Filippo Turetta è stato aggredito nel carcere veronese di Montorio, dove sta scontando una pena all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin. L’episodio è avvenuto ad agosto, nella quarta sezione del penitenziario, dove Turetta è stato trasferito dopo aver trascorso un periodo in zona protetta. A colpirlo è stato un altro detenuto di 55 anni, già condannato per omicidio e tentato omicidio, infastidito dalla presenza di Turetta, riporta Attuale.
L’aggressore è stato messo in punizione e rinchiuso in isolamento per due settimane. Dopo una settimana, è stato però trasferito in una cella singola, che si è rivelata inabitabile a causa dei danni causati da un detenuto precedente. Nel tentativo di esprimere il suo malcontento, l’aggressore ha smesso di mangiare, bere e assumere le sue medicine. La situazione all’interno degli istituti penitenziari è complessa, e l’ostilità nei confronti di Turetta, accusato di essere l’assassino di una giovane donna simbolo della lotta contro i femminicidi, riflette un profondo problema sociale. Tuttavia, Gino Cecchettin, padre della vittima, ha espresso il suo disprezzo per l’aggressione subita da Turetta, affermando: “Non è questa la risposta”.
Cecchettin ha sottolineato che provare soddisfazione per l’aggressione non è costruttivo, poiché dimostra la necessità di lavorare per affrontare le radici di tali sentimenti violenti. Il suo avvocato, Stefano Tigani, ha aggiunto: “Con la violenza non si sistema niente, una società come la nostra non può vivere di questi messaggi”. Gino Cecchettin ha sempre cercato di promuovere un “salto culturale” per affrontare il problema della violenza di genere e rendere la società consapevole dell’importanza della cooperazione.
Dopo aver affrontato il dolore della perdita della figlia, Cecchettin ha scelto di combattere in modo elegante e civile, piuttosto che ricorrere alla vendetta. La sua battaglia è focalizzata sulla lotta contro gli omicidi delle donne. Nonostante il suo profondo dolore, si è impegnato a creare consapevolezza e a trovare soluzioni ai problemi sociali, evitando conflitti ulteriori. Anche se ha espresso la sua opinione sulla condanna di Turetta, sottolineando l’evidente stalking e le aggravanti, ha sempre ritenuto che infierire su di lui non fosse la strada giusta.
In un momento di colloquio in carcere, Nicola Turetta ha cercato di far sentire suo figlio meno colpevole: “Hai fatto qualcosa però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza”, ha detto. Attraverso le sue parole, Nicola cercava di mantenere viva la speranza, nonostante le circostanze disperate. Il dolore e il dispiacere per la situazione attuale si uniscono alla necessità di cercare una via per garantire un futuro migliore, anche in mezzo alla sofferenza.
Una cosa incredibile!!! Non capisco come ci possa ancora essere così tanta violenza, anche in carcere. Gino Cecchettin ha davvero ragione: non è così che si risolvono i problemi. Dobbiamo lavorare per cambiare la cultura e affrontare il dolore senza ricorrere alla vendetta. Ma… è davvero possibile?
Non posso credere a quello che è successo! L’odio e la violenza non possono essere la risposta a una tragedia. La battaglia di Gino Cecchettin è l’unica strada sensata da seguire. Dobbiamo lavorare insieme per cambiare questa mentalità pericolosa e costruire un futuro migliore. Che situazione pazzesca!!!