Alleate per disertare guerre e riarmo: Emergency e Cheap in mostra a Palazzo esposizioni

30.05.2025 17:02
Alleate per disertare guerre e riarmo: Emergency e Cheap in mostra a Palazzo esposizioni
Alleate per disertare guerre e riarmo: Emergency e Cheap in mostra a Palazzo esposizioni

Che la guerra sia «la più diffusa forma di terrorismo» è scritto sul pavimento, all’ingresso della mostra «Contro la guerra», inaugurata ieri da Emergency e dal collettivo artistico Cheap. E ancora, camminando attraverso la sala Fontana di Palazzo Esposizioni a Roma: «Abbiamo scelto da che parte stare», perché «nelle guerre moderne, nove vittime su dieci sono civili». Poi, un avvertimento: «Non innamoratevi del potere». Sguardo a terra, è da lì che parte il primo dei tre livelli artistici della mostra. 

Il secondo, in verticale, alterna i celebri manifesti del collettivo artistico bolognese agli scatti che arrivano dall’Afghanistan e dall’Iraq. Sono le immagini dagli ospedali, i volti e le mani dei medici in sala operatoria, gli infermieri che curano, i pazienti in convalescenza nei racconti di Alessandro Annunziata, Linzy Billing, Victor Blue, Paula  Bronstein, Matthias Canapini, Francesco Cocco, Mario Dondero, Giles Duley, Simona Ghizzoni, Diambra Mariani, Giulio Piscitelli, Francesco Pistilli, Teba Sadiq, MattiaVelati, Mathieu Willcocks, autori e autrici delle fotografie. Per accostarsi più da vicino al dolore degli altri, il terzo livello della mostra è custodito dentro la feritoia bianca al centro della stanza. Piccoli spioncini aperti fanno da accesso alle immagini più crude della guerra: corpi straziati, mutilati, vite appese a un filo. 

Qui è immortalata la distruzione fisica e psicologica, ma per Massimiliano Smeriglio, assessore alla cultura di Roma, «la guerra è anche un dibattito intossicato, è un modello di sviluppo», quello del riarmo. E c’è di più: «La guerra è una cosa da maschi, rafforza la logica del maschile e non ha niente a che vedere con la sostenibilità ambientale, economica e sociale». Per questo è urgente «parlare di immaginario contro la guerra, perché se abbiamo imparato qualcosa dal femminismo nero, è che se hai un privilegio lo spendi per qualcun altro. Ecco perché siamo qui a farlo per le persone di Gaza», dice all’intervento inaugurale Sara Manfredi, co-fondatrice di Cheap. 

Il collettivo artistico si sposta dalla strada, suo contesto d’elezione, entrando non per la prima volta tra le mura di un museo per «un’alleanza necessaria» con Emergency e contro la guerra, racconta al manifesto Manfredi, «perché pensiamo che sabotare la retorica bellica è necessario e pensiamo che farlo in un museo sia significativo». L’idea è abitare l’istituzione che custodisce il compito di veicolare dei patrimoni simbolici «e forse proprio partire dall’ordine del simbolico può aiutare a immaginare scenari senza conflitti armati per affidarsi a un’ utopia, qualcosa che ancora non c’è, ma che non significa che sia impossibile, no?». Alle sue spalle il celebre manifesto «Sabotate con grazia», poi «Agitatevi», «Disertiamo» e sulla parete di fronte «Reclaim your future». Un apparente contrasto tra distensione e movimento, perché «serve il conflitto e serve la cura», dice Manfredi, nel tentativo di infilarsi nelle crepe dello spazio urbano e dello spazio pubblico «non solo per sé, ma anche per le altre». 

Un richiamo alla resistenza individuale e al ripudio collettivo della guerra, sancito anche nella Costituzione italiana, in quell’articolo 11 «scritto da gente che la guerra l’aveva fatta e che si era immaginata un paese dove non ci fosse più», ci racconta Simonetta Gola di Emergency. Un impegno che «stiamo sconfessando, dal momento che ci stiamo riarmando e continuiamo a dire che “Per mantenere la pace bisogna riarmarsi”. Non ha funzionato così, anche solo guardando la realtà dei fatti». Il riferimento è agli oltre 54 conflitti armati in corso nel mondo, e al terribile bollettino quotidiano della morte che da 20 mesi tiene il mondo intero con gli occhi su Gaza. La mattanza quotidiana nell’enclave palestinese non si può definire una guerra «perché c’è una parte che sta facendo degli attacchi sistematici contro i civili inermi». Se servisse, un motivo ulteriore per fermare il genocidio. 

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