Il precedente del 2006 dovrebbe essere una lezione per il Partito di Dio e Tel Aviv: l’ultima guerra si concluse in maniera inconcludente
Per quasi un anno, Israele e Hezbollah si sono impegnati in schermaglie transfrontaliere sempre più provocatorie. Negli ultimi giorni, però, lo scenario del conflitto allargato è diventato più concreto. Israele ha aumentato e dirottato le sua attenzioni militari verso il Libano, con l’obiettivo di riportare a casa in sicurezza i 60mila israeliani sfollati dal nord del paese ebraico da quasi un anno. Per il paese dei Cedri, quello guidato da Hezbollah, nome che in arabo significa “Partito di Dio”, è la conferma di quanto l'”Asse della resistenza”, il cui perno è rappresentato dalla Repubblica islamica iraniana, debba continuare nella sua lotta contro lo Stato ebraico.
Come si è arrivati all’escalation tra Israele e Hezbollah
L’escalation tra Hezbollah e Israele è iniziata martedì scorso. Prima sono esplosi i cercapersone, poi, mercoledì, i walkie-talkie. Con due effetti tangibili: piantare il seme della paura tra i combattenti di Hezbollah e privarli di un sistema di comunicazione che si pensava fosse sicuro grazie all’uso di apparecchi obsoleti come, appunto, i cercapersone.
Il confronto, temuto, è arrivata lo scorso venerdì, quando sono scattate le operazioni per decimare il Partito di Dio: un raid aereo di Israele ha preso di mira Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah nella periferia sud di Beirut, uccidendo 54 persone tra cui Ibrahim Aqil, noto anche come Tahsin, fino a venerdì scorso a capo dell’unità delle forze speciali Radwan. Il giorno successivo, sabato, l’aeronautica militare israeliana ha dichiarato di aver colpito 290 obiettivi nel Libano meridionale. Hezbollah ha risposto lanciando in Israele 150 missili, razzi e droni, prendendo di mira la Bassa Galilea, in particolare l’area di Safed, e la zona di Haifa, in quello che è stato l’attacco più violento da quando il gruppo sostenuto dall’Iran ha iniziato a lanciare attacchi missilistici contro Israele come forma di sostegno verso Hamas dopo il 7 ottobre.
Poi, nelle ore successive, lo scambio di fuoco tra Israele e Hezbollah si è solo intensificato. Nella mattina di ieri sono stati inviati da Israele messaggi di testo e vocali a persone che si trovano nel sud del Libano con l’avvertimento a stare lontane da “edifici residenziali usati da Hezbollah per nascondere armi”. E l’emittente britannica BBC ha rilanciato un video che circola sui social media e che mostra una persona che ha ricevuto un messaggio vocale in cui si afferma che le operazioni israeliane continuano e sono entrate in una “nuova fase”. Appello poi rilanciato dal portavoce dell’esercito Israeliano, Daniel Hagari. Tanto che con un messaggio che ricorda quelli con cui da mesi le forze israeliane (Idf) chiedono ai palestinesi di sgomberare alcune aree della Striscia di Gaza in vista di operazioni militari contro Hamas, un portavoce delle Idf, Avichay Adraee, ha dato agli abitanti della Valle della Bekaa, nel sud del Libano, due ore di tempo per lasciare la zona, annunciando imminenti raid aerei con obiettivi di Hezbollah nel mirino.
Subito dopo, l’aviazione israeliana ha colpito almeno 1600 obiettivi nei villaggi di Hezbollah a sud del Libano, e ancora decine e decine in tutto il paese, provocando secondo il ministero della Salute del paese 492 morti di cui almeno 35 bambini e 58 donne e oltre 1.600 feriti. Quella di ieri, si legge si i media libanesi, è stata la singola giornata più sanguinosa per il Libano dalla fine della lunga guerra civile del 1975-1990. Immagini che circolano sui social media mostrano bombardamenti israeliani tra le case del paese dei Cedri, mentre i libanesi sono costretti a lasciare le loro abitazioni nel sud del Libano per fuggire verso nord. Agli ospedali nel sud e nell’est del Paese de Cedri è stato ordinato di sospendere tutti gli interventi chirurgici non urgenti per gestire il numero crescente di feriti. Il premier libanese Najib Mikati ha esortato l’Onu e i “paesi influenti” a impedire quello che ha definito come il “piano distruttivo di Israele che mira a distruggere villaggi e città libanesi”.
Dal quartier generale dell’Idf, si è fatto sentire il premier israeliano Benjamin Netanyahu: “Per coloro che non l’hanno ancora capito, voglio chiarire la politica di Israele. Noi non aspettiamo una minaccia, la anticipiamo. Ovunque, in ogni teatro, in qualsiasi momento”. Al momento, Israele si sta concentrando sulle operazioni aeree e non ha piani immediati per un’operazione di terra, ha precisato una fonte della sicurezza, spiegando che i raid mirano a limitare la capacità di Hezbollah di lanciare altri attacchi contro il nord dello Stato ebraico.
Chi potrebbe avere la meglio tra Hezbollah e Israele
Il precedente del 2006 dovrebbe essere una lezione per il Partito di Dio e Tel Aviv. Nell’ultima guerra su vasta scala tra Israele e Hezbollah, durata appena 34 giorni, l’allora comandante dell’aeronautica militare israeliana predisse con sicurezza che gli aerei da guerra israeliani avrebbero potuto infliggere danni sufficienti alla milizia sostenuta dall’Iran da rendere superflua un’incursione via terra. Non fu così. Alla fine l’esercito israeliano fu costretto a inviare carri armati e fanteria nel Libano meridionale dando il via ad alcuni duri combattimenti. E la guerra si concluse in modo inconcludente.
I tempi però erano diversi: Tel Aviv aveva iniziato le ostilità per liberare due soldati rapiti. Pensava di avere la vittoria in pugno, frutto di una sottovalutazione dell’organizzazione del Partito di Dio: non conosceva il numero di razzi accumulati da Hezbollah, né sapeva quanto fosse estesa la rete di basi sotterranei a ridosso del confine con Israele. Adesso, però, il quadro si è capovolto: l’intelligence israeliana conosce meglio Hezbollah rispetto a 18 anni fa, tanto che è riuscita a mandare in tilt i servizi di comunicazione e uccidere i vertici del Partito di Dio con blitz e raid mirati.
Ma ora chi potrebbe avere la meglio tra le due parti? Hezbollah, sostenuto fin dalle origini dalle Guardie rivoluzionarie iraniane, vanta un solido apparato militare. Pur non essendo l’esercito ufficiale del Libano, Hezbollah controlla gran parte delle aree del paese a maggioranza sciita, comprese parti della capitale Beirut, del Libano meridionale e della regione orientale della Valle della Bekaa. Non si sa di preciso quanti combattenti abbia il Partito di Dio. Nel 2021 il leader Hassan Nasrallah ha affermato che la sua organizzazione conta circa 100mila combattenti, ma esperti credono che in realtà siano di meno gli effettivi, tra i 20 e i 50mila. Anche tenendo conto dell’attacco con il cercapersone, la disponibilità di circa 50mila combattenti e riservisti fa di Hezbollah una forza militare più grande e più capace di Hamas, che continua a combattere nonostante quasi un anno di bombardamenti israeliani.
Il timore è che l’Iran, che fino in questo momento ha tentato di non agitare ulteriormente le acque evitando di rispondere all’assassinio a Teheran dell’ex leader di Hamas, Ismail Haniyeh (anche se continua a minacciare una ritorsione), entri nel conflitto. Nonostante la retorica e le minacce reciproche di distruzione, fino a pochi giorni fa né Israele, né Hezbollah, né l’Iran hanno mostrato interesse per una guerra su vasta scala.
Questo perché probabilmente tutti sono consapevoli delle conseguenze distruttive di una simile eventualità: Israele ha il potere militare per devastare Beirut e altre parti del Libano come ha fatto a Gaza, tirando in ballo persino gli Stati Uniti.
Hezbollah, con i sistemi di comunicazione paralizzati e con parte della sua leadership uccisa, potrebbe comunque lanciare migliaia di missili contro siti strategici israeliani, come l’aeroporto, il centro di Tel Aviv, le linee di approvvigionamento idrico, gli hub elettrici e le piattaforme di gas offshore, che però verrebbero intercettati dal sistema antimissile israeliano Iron Dome. Attacchi che comunque minerebbero ulteriormente la figura del leader israeliano Benyamin Netanyahu, che a casa deve gestire l’opposizione della popolazione, per l’appello al ritorno a casa degli ostaggi nelle mani di Hamas, e dei detrattori che affermano quanto stia legando gli interessi del paese ai propri per mantenere il potere.
È difficile stabilire quale sia la strategia alla base delle azioni di Israele: dal 7 ottobre, come ha sottolineato l’amministrazione americana Biden, Tel Aviv non ha dato prova di una strategia coerente con obiettivi politici chiari. Ma anche i libanesi, che sono solidali con la causa palestinese e si oppongono alla guerra di Israele a Gaza, potrebbero tirarsi indietro all’idea che il loro benessere debba essere sacrificato. E questo potrebbe tradursi in una perdita di consenso per Hezbollah.
Dal conflitto tra il Libano e Israele potrebbero uscirne sconfitti entrambi, mentre sarà la popolazione civile a pagare il caro prezzo di questa guerra.