Chi può andare in pensione a 64 anni (e 20 di contributi) con le nuove regole

18.12.2024
Chi può andare in pensione a 64 anni (e 20 di contributi) con le nuove regole
Chi può andare in pensione a 64 anni (e 20 di contributi) con le nuove regole

La novità è stata introdotta con un emendamento alla legge di bilancio presentato dalla Lega. Cosa cambia sulla flessibilità in uscita dal lavoro e come funziona il meccanismo

In pensione a 64 anni, con 20 anni di contributi. Dal 2025. Arriva una novità sul fronte pensionistico, introdotta con un emendamento alla legge di bilancio presentato dalla Lega, con l’obiettivo di rendere più flessibile l’accesso alla pensione. Sarà infatti possibile accedervi a 64 anni, cumulando gli importi del fondo complementare, ma solo se si hanno già 20 anni di contributi e se si è pienamente nel regime contributivo. La somma dei contributi previdenziali con l’aggiunta di quelli complementari vale infatti ai fini del raggiungimento dell’importo richiesto per accedere alla pensione.

L’emendamento in questione è stato presentato dalla deputata della Lega Tiziana Nisini, e poi è stato riformulato in commissione bilancio alla Camera. Cerchiamo di fare chiarezza su questo nuovo meccanismo che premia la flessibilità in uscita, almeno nelle intenzioni del governo.

I fondi complementari sommati ai contributi previdenziali

I fondi complementari rientrano tra gli strumenti di risparmio privati che i lavoratori possono attivare per integrare l’assegno obbligatorio del sistema pubblico, quindi dell’Inps. Di fatto, spostando una determinata cifra, come per esempio il trattamento di fine rapporto (Tfr), si crea una rendita che al momento dell’uscita dal lavoro si aggiungerà all’importo percepito mensilmente come pensione. Con la modifica presentata alla manovra, la somma tra contributi previdenziali e fondi complementari viene ammessa per il raggiungimento dell’importo richiesto a fini pensionistici.

La normativa attuale consente di andare in pensione a 64 anni ai lavoratori in regime contributivo, con un minimo di 20 anni di contributi, solo se l’importo dell’assegno che si percepirà è pari a tre volte la pensione minima per gli uomini e 2,8 volte per le donne. In sostanza, quindi, la novità consiste nel fatto che, dal prossimo anno, per raggiungere questo importo può essere utilizzata anche la rendita del fondo previdenziale complementare.

Le stime sui lavoratori 

Come dichiarato da alcuni esponenti di governo e maggioranza, l’obiettivo resta quello di favorire la flessibilità in uscita senza penalizzazioni. Quanti lavoratori riguarderà? Secondo le primissime stime, questa norma dovrebbe per ora toccare da vicino una platea piuttosto ristretta, calcolando che i lavoratori che operano nel pieno regime contributivo hanno al massimo 28 anni di contributi, 8 in più del minimo richiesto. Un maggiore effetto è atteso a partire dal 2030, quando una quota più consistente di lavoratori avrà maturato i requisiti minimi. Nell’ipotesi che la cumulabilità con i fondi previdenziali complementari venga estesa anche ai lavoratori che operano nel regime misto (retributivo-contributivo) pre 1996, la platea interessata salirebbe a 80mila. 

Secondo Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, questo emendamento “premia la flessibilità in uscita”. “Per la prima volta nella previdenza italiana si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni – ha detto Durigon -. Con il provvedimento si interviene in tema pensionistico affrontando concretamente il problema delle pensioni povere, destinate ad aumentare a fronte di un sistema contributivo che sarà più prevalente”.

Le critiche della Cgil

Molto critica, invece, la posizione dei sindacati. Secondo la Cgil, l’emendamento “certifica come nonostante le promesse di superamento della legge Fornero, quest’ultima sarà l’unica norma con cui si potrà accedere al pensionamento nel presente e in futuro”. Secondo la segretaria confederale Lara Ghiglione, “per coloro che utilizzeranno questa uscita non saranno più necessari 20 anni, ma dal 2025 ne saranno richiesti 25 e dal 2030 addirittura 30, con un importo-soglia che in questo caso dovrà raggiungere 3,2 volte l’assegno sociale, ovvero 1.710 euro circa, 400 euro in più rispetto all’importo-soglia del 2022” .

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