Con “The Brutalist” Venezia 2024 ha trovato il suo film più potente

02.09.2024
Con “The Brutalist” Venezia 2024 ha trovato il suo film più potente
Con “The Brutalist” Venezia 2024 ha trovato il suo film più potente

“The Brutalist” è stato atteso a lungo, fin dal 2018 il progetto di Brady Corbet era apparso qualcosa di potenzialmente davvero intrigante, e a dispetto di ritardi, modifiche e re-casting continui, infine è arrivato qui, alla Biennale di quest’anno. Adrien Brody è il protagonista di un film ambizioso, formalmente maestoso, con cui unire la classicità della Hollywood che fu, alla volontà di donarci una storia capace di parlarci dell’America con uno sguardo critico eppure affascinato. Al momento è il film migliore visto a Venezia 2024.  

“The Brutalist” – la trama

“The Brutalist” ruota attorno alla vicenda di László Tóth (Adrien Brody), ebreo ungherese sopravvissuto all’Olocausto, che raggiunge il cugino Attila (Alessandro Nivola) a New York, su quel finire di anni ’40 in cui comincia una nuova ondata migratoria negli Stati Uniti. László è stato un architetto molto famoso nell’Europa prebellica, uno dei massimi esponenti della Bauhaus, ma con il nazismo tutto era finito. Ora spera di portare la moglie Erzsébet (Felicity Jones) in America e di trovare la sua strada, ma non è facile. Gli stranieri vengono trattati con ostilità, lui fatica ad integrarsi, almeno fino a quando il suo talento di architetto e designer viene notato dall’eccentrico miliardario Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), che è deciso a finanziare ambiziosi progetti architettonici nella Pennsylvania che è sempre più patria di mattoni ed acciaio. Ma László oltre a dover far fronte ad una grande solitudine, ad una tossicodipendenza ereditata dalla guerra, deve combattere contro la perplessità di chi lo circonda verso le sue nuove idee, il razzismo e i traumi in lui lasciati dalla tragedia bellica. Quel progetto, in cui riversa il suo genio, quell’edificio voluto da Van Buren, diventerà anche una resa dei conti verso sé stesso. 

“The Brutalist” è una folle corsa verso la grandezza, con un gigantesco edificio da costruire che comprendiamo potrebbe segnare per il protagonista la tanto attesa ascesa oppure la sua definitiva rovina. Nel mostarcelo, “The Brutalist” diventa in breve il miglior film visto fino ad ora in Concorso Ufficiale a questa Venezia 2024, che di buoni film ne ha mostrati diversi, ma nessun acuto, nessuno almeno in confronto a ciò che Brady Corbet ha offerto in questa odissea gigantesca, viscerale. Il regista travolge lo spettatore sia dal punto di vista visivo, con un 70mm VistaVision sparatissimo, che narrativo. La sceneggiatura scritta da Corbet con Mona Fastvold si connette a capolavori girati in quell’America piena di speranze dopo il secondo conflitto mondiale da registi come Stern, Seaton, Capra, Wyler, insomma quella narrativa su speranze, rinascite e riscossa. Ma “The Brutalist” diventa tanto un omaggio alla grandiosità di quel momento cinematografico e quell’umanità silenziosa, quanto una decostruzione totale della retorica dell’american dream, degli Stati Uniti come patria della speranza. Qui di speranza ve n’è poca, se non quella dell’individualismo tossico e galoppante, dell’assenza di scrupoli che accompagna quest’America che prega e intanto conta i soldi, che crea chiese e autostrade, simboli di un assolutismo del capitale che non rispetta niente e nessuno. 


Un kolossal sull’individualismo come tratto fondamentale della società americana

“The Brutalist” ha un cast magnifico, ma più di tutti lo è lui: Adrien Brody. Il fu Pianista si conferma uno degli interpreti più incredibili della sua generazione, il suo László è tutto e il contrario di tutto, è miserabile e arguto, è ingenuo e astuto, è trionfante e fragilissimo. Nella sua disperata ricerca di una riscossa, Corbet delinea un mix dei vari affamati di speranza che il cinema americano ha sempre eletto a simbolo di quel miraggio chiamato American Dream. Pochissimi film sono riusciti a togliere la patina di retorica, di trionfalismo, dalla descrizione di quell’America classista, razzista e spietata, in cui László cerca come può di non affondare. I dialoghi sono perfetti per tempismo e significati (sia diretti che indiretti), poi c’è l’incredibile fotografia di Lol Crawley che tende a togliere profondità ad un film è intimo, claustrofobico, pure nelle gigantesche metropoli o nei grandi spazi. L’architettura è lo specchio di un contrasto che “The Brutalist” eleva a grande tema del film. Lo scontro riguarda passato e presente, materia e luce, giusto e sbagliato, forza e debolezza. Guy Pearce giganteggia con il suo Van Buren, dietro cui stanno i tanti capitalisti elevati a divinità dall’America, con la sua progenie viziata e decadente. Lui è il volto di quell’inganno, della falsa nobiltà americana fatta di petrolio e acciaio, di mattoni e furberie. 

La Jones è sublime con la sua Erzsébet spezzata ma indomita, corpo contorto dentro cui si agita il senso di colpa dei sopravvissuti, la distruzione della perfezione familiare. “The Brutalist” è un film incredibile, gigantesco e mastodontico per perfezione formale e forza degli eventi in esso contenuti, per come riesce a far restare ogni personaggio autentico e credibile, sa inoltre regalare una tensione avvolta da un’amara ironia, con il suo protagonista che diventa mezzo per un legame profondo con la visione della Storia di Stanley Kubrick. Anche lui guardava al singolo come mezzo con cui esprimere una costante in eterna ripetizione ciclica. Con la sua capacità di essere classico eppure rivoluzionario, il film fiume di Brady Corbet (3 ore abbondanti in tutto) si candida ad assoluto protagonista di questa Venezia 2024, di cui rappresenta fino ad ora il massimo in quanto a perfezione formale e capacità di essere coinvolgente, così come autoriale e personale nella forma. Soprattutto, questo è un film che rimette al centro l’esperienza del cinema in quanto evento grandioso, spettacolo emotivo per immagini, con la capacità di essere più vero della verità usando la finzione. Se lasciasse il Lido senza un riconoscimento importante, sarebbe veramente un crimine. 

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