Trump e la situazione in Iran: differenze di visione tra leader mondiali
DAI NOSTRI INVIATI
TEL AVIV – CALGARY – L’ultimo messaggio che gli iraniani avrebbero potuto ricevere sui loro telefoni è stata un’intimidazione da parte di Donald Trump, che esortava alla «resa incondizionata». Solo pochi minuti dopo, l’intelligence israeliana ha lanciato un attacco informatico contro i sistemi elettronici della Repubblica Islamica, costringendo il governo a ordinare ai cittadini di scollegarsi dai social media per evitare possibili infiltrazioni, riporta Attuale.
Le minacce del presidente americano si sono intensificate da quando è tornato alla Casa Bianca, dopo aver lasciato un incontro con i leader internazionali al G7 per concentrarsi sulle emergenze. Trump ha dichiarato di avere il «controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran» e durante un colloquio, un suo consigliere ha specificato che il «noi» si riferisce agli Stati Uniti e non a un’alleanza con Israele. Ha aggiunto: «Sappiamo esattamente dove si trova la cosiddetta Guida suprema. È un facile bersaglio, ma lui è al sicuro al momento; non lo elimineremo, almeno per ora». La sua frase finale ha insinuato che la pazienza americana potrebbe essere vicino a una scadenza.
Ieri, Trump ha convocato il consiglio per la Sicurezza Nazionale nella Situation Room della Casa Bianca, dove ha trascorso più di un’ora a discutere della situazione. Nella stessa giornata, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa, Israel Katz, hanno espresso l’auspicio che gli Stati Uniti si stessero preparando a intervenire militarmente contro l’Iran, poiché i bombardieri americani sono in grado di trasportare armi all’avanguardia come le Gbu-57, capaci di penetrare le difese della centrale nucleare di Fordow.
Contrariamente a queste affermazioni, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che Trump stava cercando un cessate il fuoco. Trump, tuttavia, ha prontamente smentito, affermando: «Non ho detto che cerco un cessate il fuoco. In realtà voglio una vera fine, non un semplice cessate il fuoco».
Allo stesso modo, il premier britannico Keir Starmer ha espresso scetticismo sul coinvolgimento diretto di Trump nel conflitto israelo-iraniano, affermando che non c’è nulla nel comportamento del presidente che indichi una sua intenzione di entrare in guerra, mentre il comunicato del G7 enfatizzava la necessità di una de-escalation.
Dal canto suo, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha evidenziato che gli Stati Uniti stanno considerando di attuare un intervento in Iran e che la decisione dipenderà dalla disponibilità del regime a tornare ai negoziati. Ha inoltre osservato: «Israele ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità; se l’Iran non concede, la distruzione totale del programma nucleare iraniano sarà necessaria, un compito che Israele non può svolgere da solo».
Per affrontare questo compito, le operazioni ordinate da Netanyahu mirano a rallentare lo sviluppo della Bomba, un progetto negato dagli iraniani ma supportato da rapporti dell’Agenzia atomica delle Nazioni Unite. Tuttavia, Ehud Barak, ex ministro della Difesa israeliana, ha sollevato dubbi sull’efficacia di un attacco statunitense, sostenendo che i pasdaran potrebbero riprendere il programma nucleare dopo pochi mesi.
In questo contesto, Netanyahu ha enfatizzato la necessità di un cambio di regime in Iran, incoraggiando la popolazione a ribellarsi, mentre Trump ha esortato alla «resa totale», nonostante le sue precedenti aperture al negoziato con gli emissari della Guida suprema Ali Khamenei, interrotto a causa dell’offensiva israelo-palestinese.