Pochi dubbi sulla prestazione della vicepresidente, ma basterà per staccare Trump nei sondaggi? I dati dicono già qualcosa, Today.it lo ha chiesto direttamente agli elettori americani: ecco cosa pensano
Il dibattito tv tra Kamala Harris e Donald Trump non è la fine dello spettacolo: siamo ancora al primo atto delle elezioni americane. Sulla prestazione della vicepresidente ci sono pochi dubbi, la vittoria è stata netta e la prestazione convincente. Dopo l’atteso confronto su Abc, Trump ha indirettamente ammesso la propria inferiorità e ha respinto l’idea di un altro dibattito. Ma come si sono svegliati gli Stati Uniti il giorno dopo? Lo scontro televisivo può davvero cambiare la campagna elettorale? Today.it lo ha chiesto direttamente agli elettori americani di Saint Paul, Minnesota.
Cosa è successo dopo il dibattito Harris Trump
Kamala Harris ha dominato lo scontro tv con Donald Trump, la retorica della vicepresidente ha funzionato: pungente e puntuale nelle parole, significativa nel linguaggio del corpo. Dall’altra parte, le scelte dell’ex presidente sono state poco efficaci e autodistruttive, quasi. I sondaggi dei giorni successivi lo hanno ribadito.
D’altronde lo stesso Trump ha indirettamente ammesso la propria sconfitta: le critiche ai due moderatori della serata, i giornalisti di Abc David Muir e Linsey Davis, sono un chiaro segnale. In più, ha espresso la volontà di non voler partecipare a un altro dibattito perché “ce ne sono stati già due e sono stati un successo”.
I sondaggi non riflettono al 100 per cento la reale volontà dell’elettorato e hanno sempre un margine d’errore. Ce ne saranno molti e più ci si allontana dal dibattito, meglio se ne comprenderà l’impatto sulla campagna elettorale, magari pesando anche l’endorsment di Taylor Swift. Ma cosa ne pensano gli americani?
Vittoria di Harris su Trump: parola agli elettori americani
Ci troviamo a Saint Paul, capitale del Minnesota. Questo è il “giardino” di casa di Tim Walz, vicepresidente designato di Kamala Harris e governatore dello Stato. Qui non dovrebbero esserci sorprese: il Minnesota è “blu” – vota cioè per i democratici -, ininterrottamente dal 1976.
La Saint Thomas è l’università privata più grande dello stato: Today.it si trova qui, nel segmento più giovane di elettori americani, per sentire le prime impressioni post dibattito. Il primo ragazzo che incontriamo ha 18 anni. Sarebbe la sua prima elezione ma non ha intenzione di votare: c’è troppo “drama”, per i suoi gusti. I suoi amici la pensano come lui: “Non ci interessa la questione, anche perché non crediamo di contare qualcosa visto che non scegliamo direttamente il presidente”.
Poco distante c”è un gruppo nutrito di ragazzi. Mi avvicino, nessuno ha granché voglia di parlarne e non tutti hanno visto il dibattito: “A me non interessa – dice uno studente di 19 anni -, non credo l’elezione del presidente mi cambi la vita”. Ma una ragazza risponde che ha visto il confronto: “Credo conti molto per la corsa alla presidenza perché ha cambiato l’opinione delle persone”. Però non dice per chi voterà.
A due isolati in direzione sud, entro nel supermarket di un rifornimento di benzina. Il cassiere ha le idee chiare: “Ho visto il dibattito, è stato abbastanza deprimente – ci dice il ragazzo di 36 anni -. Da una parte hai Trump che è un incompetente e diffonde false informazioni e pericolose, specialmente sui migranti. Dall’altra c’è Kamala Harris, del partito che è al potere. Ci sono un sacco di promesse non realizzate, sin da quando ero bambino, dall’era Obama. Ora c’è anche la guerra in Palestina ma i partiti non sembrano curarsene, neanche se muoiono a centinaia sotto le bombe”.
Comunque, a suo avviso c’è stato un cambiamento: “La campagna di Harris è più rivolta al futuro e ha più positività, credo che questa cosa mancasse a Biden – dice il cassiere -. Ora i democratici approcciano Trump come se fosse un passo indietro nel passato. Io li voterò”.
“L’elettorato è spaccato a metà, ci si contende pochi voti”
Euan Kerr, direttore regionale di Mpr (Minnesota public radio)
“Questa corsa per le presidenziali è diversa da tutte le altre che ci sono state negli ultimi anni – mi dice Euan Kerr, direttore della redazione regionale della radio pubblica del Minnesota -. Chiaramente lo staff di Harris e Walz è felice di com’è andata, visto che il giorno successivo sono stati raccolti quasi 50 milioni di dollari. Ma i sondaggi mostrano che l’elettorato è spaccato a metà, ci si contende pochi voti. È ancora presto per dire se il dibattito ha avuto davvero un impatto, credo dovremo aspettare un’altra settimana o dieci giorni. Magari è più probabile che ce ne accorgeremo soltanto il giorno delle elezioni”.
Quanto conta un dibattito per una campagna elettorale: parola ai dati
Sul dibattito abbiamo dei numeri, anche se parziali e incerti. Di sicuro, elettori che lo hanno visto concordano ampiamente sul fatto che Kamala Harris abbia vinto la partita dialettica ai danni Donald Trump: secondo un sondaggio della Cnn condotto il giorno successivo al confronto, per il 63 per cento degli spettatori la vicepresidente ha offerto una prestazione migliore dell’ex presidente.
Prima del dibattito, gli stessi elettori erano equamente divisi su quale candidato avrebbe fatto meglio. Le loro opinioni sull’affidabilità del candidato in relazione ai temi non sono cambiate: Trump è ancora in vantaggio su economia, immigrazione e percepito come più adatto al ruolo di comandante in capo, mentre Harris è più affidabile su aborto e protezione della democrazia.
Nella storia delle elezioni statunitensi i dibattiti tv esistono dagli anni ’60, da quando John Kennedy e Richard Nixon furono i primi candidati alla presidenza a sfidarsi sugli schermi degli americani. Ma i confronti televisivi non hanno mai spostato granché, neanche nel 2016, quando 84 milioni di spettatori ammirarono il primo testa a testa tra Hillary Clinton e Trump.
I numeri ce li forniscono Robert Erikson della Columbia University e Christopher Wlezien della University of Texas di Austin, che hanno scoperto come i sondaggi effettuati prima dei dibattiti erano molto simili a quelli effettuati una settimana dopo. Questo succede perché chi si mette davanti alla tv è già interessato e ha le idee chiare per chi votare: non ha bisogno di un confronto per capirlo, a quel punto si tratta di puro intrattenimento. Questa volta può essere diverso e il vigore della campagna di Harris potrebbe sovvertire anche questa certezza. Ma Donald Trump è ancora lì e la corsa è ancora lunga.