Il Trattato Atlantico prevede che un attacco contro uno dei Paesi membri venga considerato un attacco contro tutti, impegnando gli alleati a una risposta colettiva. Ma l’entrata di Kiev nell’Alleanza è fuori discussione, e non è scontato che Trump appoggi il progetto della premier
È un’accelerazione evidente quella compiuta dall’Unione Europea con l’approvazione del piano ReaArm Europe presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Anche il governo Meloni ha votato sì, mettendo però sul tavolo una serie di perplessità e altrettante proposte. Tra queste l’estensione dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina: una possibilità che solleva diversi interrogativi visto soprattutto il “no” netto degli Stati Uniti (e della Russia) espresso più volte dall’amministrazione Trump circa la possibilità dell’entrata di Kiev nell’Alleanza Atlantica.
Le posizioni di Meloni al vertice: no all’invio di soldati italiani, sì alla revisione dei vincoli di bilancio
Ma, andando con ordine, al Consiglio Europeo di ieri l’Italia ha ribadito in primis il no all’utilizzo dei fondi di coesione per spese militari. “Abbiamo condotto una battaglia perché non ci sia alcun obbligatorietà dicendo che la decisione italiana sarà portata in Parlamento”, ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il governo è infatti contrario a dirottare tali fondi per l’acquisto di armi, e al termine del vertice è stato deciso che tale l’opzione resterà volontaria per gli Stati membri.
Accolta invece con favore la proposta della Germania di rivedere le strette regole di bilancio imposte ai Paesi membri dal Patto di stabilità, consentendo margini di spesa più ampi per gli investimenti in difesa. Secondo Meloni, la revisione del patto di Stabilità dovrebbe essere organica e non limitarsi alle spese militari, ma comprendere anche altri settori strategici.
La premier ha poi sottolineato la propria visione, che colloca saldamente l’impegno europeo nella difesa all’interno dell’alleanza Nato ed esclude l’invio di soldati italiani sul campo: “Le garanzie di sicurezza certe secondo me stanno sempre nell’alveo dell’alleanza atlantica, l’unico modo serio per garantirle è quello, poi ci sono diversi modi per farlo in cui stiamo portando avanti le nostre proposte ma, secondo me, quella di inviare truppe non meglio identificate, truppe europee poi, insomma francesi, britanniche, è la soluzione più complessa e forse la meno efficace.

“L’ho detto e l’ho ribadito – prosegue – e ho anche escluso la possibilità che in questo quadro possano essere inviati soldati italiani e penso che dobbiamo ragionare anche su soluzioni più durature anche di quelle che potrebbero rappresentare oggi un invio di truppe”, ha chiarito Meloni.” Altro tema e le questioni delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite ma – ha specificato – è tutt’altra materia perché si tratta di missioni che intervengono quando c’è un processo di pace iniziato e non è la proposta di cui si sta parlando in queste ore”.
Cosa dice l’articolo 5 della Nato (e come potrebbe essere esteso all’Ucraina)
Tra le “soluzioni più durature” auspicate dalla premier, spicca in particolare quella dell’estensione dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina, definita un’opzione “più efficace di altre proposte”. Tale articolo del Trattato Nord Atlantico prevede che in caso di aggressione contro uno o più Paesi membri, “l’attacco sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti”, e di conseguenza, gli alleati si impegnano a rispondere collettivamente con l’azione ritenuta necessaria, “compreso l’uso della forza armata”.
La proposta era stata già messa sul tavolo da Giorgia Meloni nel corso del summit sulla sicurezza a Londra organizzato da Keir Starmer la scorsa settimana. “Bisogna provare a pensare un po’ fuori dagli schemi, pensare un in modo creativo. Credo che il tema dell’articolo 5 della Nato sia il tema più efficace di tutti, che può voler dire anche non ingresso nella Nato”, aveva affermato Meloni.
L’impossibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato è infatti al momento cosa certa: nonostante negli scorsi giorni Zelensky abbia affermato di essere disposto a dimettersi in cambio dell’entrata del suo Paese nell’Alleanza, l’opzione è stata stroncata dagli Stati Uniti più volte. Anche perché, Putin ha affermato esplicitamente di considerarla la “linea rossa” e Trump, visto le trattative in corso e i rapporti col Cremlino in pieno avvicinamento, non ha alcuna intenzione di rimettere l’ipotesi sul tavolo.
Non a caso Meloni – nonostante il suddetto articolo 5 sia destinato esclusivamente ai Paesi Nato – ha specificato che un’estensione della garanzia all’Ucraina non significherebbe automaticamente un ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza.
A fine febbraio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, aveva spiegato che l’bbiettivo sarebbe quello di “estendere le garanzie dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina senza farla entrare nella Nato perché l’ingresso nella Nato può essere reputato dalla Russia un atto ostile o di pericolo ai confini russi. Estendere le garanzie di sicurezza ha solamente il vantaggio di dire che l’Ucraina non può essere attaccata”.
Come si applicherebbe quindi concretamente questa estensione delle garanzie? Poco probabile che venga proposta una modifica del Trattato, che richiederebbe tempi troppo lunghi e l’unanimità di tutti i Paesi membri. Potrebbe invece essere messa in campo un’intesa tra Paesi Nato, anche non necessariamente tutti, che stipulerebbero con l’Ucraina un accordo difensivo che ricalchi l’articolo 5 o che sia comunque basato sugli stessi principi e implicazioni.
L’incognita dell’appoggio Usa
La proposta di Meloni risponde alla necessità di mantenere solida la vicinanza con gli Stati Uniti, evitando un’azione puramente europea con l’invio di truppe come invece auspicato da Macron. Tuttavia, che gli Stati Uniti siano d’accordo con una simile estensione delle garanzie di sicurezza Nato all’Ucraina non è affatto scontato.
Nelle scorse settimane Donald Trump, pur dichiarando di “sostenere” l’articolo 5 della Nato, aveva chiarito che comunque “non servirà” perché “in Ucraina avremo una pace solida e duratura”. Ancor più netto è stato nelle scorse settimane il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che oltre ad escludere esplicitamente la presenza di truppe Usa in Ucraina, ha affermato: “Se ci sarà una missione di peacekeeping non deve essere una missione Nato e non ci dovrà essere la copertura dell’articolo 5”.
Nell’ambizione equilibrista di “fare da ponte” tra Bruxelles e Washington, l’obiettivo di Giorgia Meloni sarà quindi convincere Trump. Un compito reso ancor più difficile visto lo scontro tra quest’ultimo e il presidente francese Emmanuel Macron (proprio sull’alleanza Nato, tra l’altro), principale propulsore dell’iniziativa europea.
Scontro Trump-Macron sulla “fedeltà alla Nato”
“Noi siamo alleati fedeli e leali”, ha risposto Macron a Trump, che aveva messo in dubbio la fedeltà degli alleati della Nato, ribadendo che “non difenderà chi non paga”. Macron ha assicurato che la Francia prova “rispetto e amicizia” per gli Stati Uniti e i loro diritti e per questo si sente “in diritto di chiedere la stessa cosa” agli americani.
Le dichiarazioni di Trump si collocano nell’ormai evidente disimpegno statunitense, che spingono per una maggior assunzione di responsabilità dell’Europa in ambito sicurezza. Una posizione che non a caso ha portato l’Ue a intraprendere azioni per aumentare gli investimenti in difesa, come appunto il piano ReArm.
Interessante nell’ambito delle percezioni e dei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico è un recente sondaggio di YouGov sulle opinioni degli europei nei confronti dell’attuale amministrazione americana. L’indagine ha rivelato che la maggioranza delle persone intervistate nei cinque tra i maggiori Paesi europei considerati (Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna) vedono in Donald Trump una minaccia per la pace. La percentuale di chi la pensa in questo modo va dal 58 per cento in Italia al 78 per cento in Gran Bregna.

Trump si dimostra in generale molto impopolare nei Paesi considerati. La maggioranza degli intervistati ha un’opinione sfavorevole del presidente Usa, che va dal 63 per cento in Italia all’80 in Gran Bretagna.
Molto più apprezzato è Zelenskyy, anche se l’Italia appare abbastanza anomala rispetto agli altri Paesi europei in questo senso. Nel Regno Unito, il 71 per cento ha un’opinione favorevole nei confronti del presidente ucraino, percentuale che si attesta al 49% in Francia, al 48% in Spagna e appena al 34% in Italia. Il belpaese si distingue anche per il maggior tasso di popolarità nei confronti di Vladimir Putin: gli italiani intervistati che hanno un’opinione negativa su di lui sono il 77 per cento; i francesi l’82%, spagnoli e britannici l’89%.