Boom delle spese degli italiani verso prestazioni e assicurazioni sanitarie private: i dati allarmanti dell’ultimo rapporto Gimbe. Cartabellotta: “Siamo vicini a un punto di non ritorno”
Se fosse un paziente la sua prognosi sarebbe sicuramente riservata. La nostra sanità pubblica, un tempo invidiata dal mondo intero, è in profonda crisi. Non esistono, al momento, dati capaci di invertire la tendenza e gli ultimi segnali, rilevati dall’ultimo rapporto della fondazione Gimbe sullo stato del nostro Servizio sanitario nazionale, non autorizzano nessuno a dormire sonni tranquilli.
Quattro milioni e mezzo di italiani non si curano più
Il dato forse più inquietante è che quasi quattro milioni e mezzo di italiani non si curano più. Di questi 2,5 milioni di persone (il 4,2% della popolazione) ha rinunciato a farlo nel 2023 per motivi economici. L’incremento, rispetto all’anno precedente, è di 600mila persone. Parallelamente si assiste a un vero e proprio boom della spesa degli italiani per accertamenti diagnostici o prestazioni mediche presso privati. La cosiddetta spesa “out of pocket” nel 2023 si è impennata del 10,3% (+€ 3.806 milioni) in un solo anno.
Aumentano anche le sottoscrizioni di assicurazioni sanitarie private e fondi integrativi per ovviare ai ritardi della sanità pubblica. Un dato che fa assomigliare la nostra sanità, ad esempio, a quella statunitense dominata da fondi assicurativi privati non universalistici.
“La situazione è in continuo peggioramento e rischia di lasciare l’universalismo del Sistema sanitario nazionale solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura universale” spiega Nino Cartabellotta.
Spendiamo 52 miliardi in meno rispetto alla media Ocse
Ma la crisi della sanità pubblica ha le sue cause ben precise. L’Italia spende infatti circa 52 miliardi in meno in sanità pubblica rispetto alla media Ocse, parliamo di una media di 889 euro pro capite, una vera e propria enormità. I mancati finanziamenti si ripercuotono su prestazioni, liste di attesa, prevenzione, cure e ovviamente sulle tasche degli italiani.
E il definanziamento della sanità pubblica italiana è ormai cronico. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati.
Tra il 2020-2022 il Fondo Sanitario Nazionale è aumentato di ben 11,6 miliardi di euro, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del Sistema sanitario nazionale né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci.
Per gli anni 2023-2024 il Fondo è aumentato invece di poco più di 8 miliardi e mezzo di euro: tuttavia, nel 2023 € 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre € 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale. C’è da considerare inoltre il tasso di inflazione che ha eroso, di fatto, il finanziamento nominale del governo.
E per il futuro i numeri non fanno ben sperare: secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri, il rapporto spesa sanitaria/PIL si ridurrà dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. Il tutto in un Paese che invecchia dove aumentano vertiginosamente le patologie croniche.
I tagli si fanno sentire soprattutto in settori chiave come la prevenzione. Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben € 1.933 milioni (-18,6%).
“Tenendo conto che la prevenzione – commenta Cartabellotta – è la ‘sorella povera’ del Ssn, al quale viene allocato circa il 6% del finanziamento pubblico, tale riduzione rappresenta un’ulteriore spia del sotto-finanziamento che, inevitabilmente, costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse a un settore sì fondamentale, ma considerato differibile. Ma tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo” sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe.
La fuga del personale sanitario
C’è poi la crisi grave del personale sanitario. I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn. Secondo la Fondazione Onaosi, tra il 2019 e il 2022 la sanità pubblica ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e Anaoo-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.
A influire sulla fuga dei medici italiani dalla sanità pubblica ci sono fenomeni come turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza, come le cronache di questi ultimi giorni sottolineano.