Il mercato è ancora in crescita, ma non come si aspettavano i colossi automotive. Che ora rivedono i loro piani. La “rivoluzione” non sembra più così immediata. Colpa di incentivi che mancano, dazi e costi proibitivi
Un mercato che cresce, ma non come ci si aspettava. La vendita delle auto elettriche non decolla, almeno in Europa, e molte case automobilistiche sembrano pronte a una parziale marcia indietro. Volvo ha recentemente rinunciato all’obiettivo di vendere solo modelli di ultima generazione entro il 2030 per la netta decrescita della domanda, ma prima dell’azienda svedese anche Porsche e Mercedes hanno sostanzialmente rivisto a ribasso i loro piani per l’elettrico.
In Italia intanto Stellantis ha congelato il progetto sulla gigafactory di Termoli, mentre in Germania è stato sospeso quello di Kaiserslautern. E se questi centri produttivi sono il cuore della nuova mobilità elettrica, viene spontaneo domandarsi cosa sta succedendo.
Il calo delle immatricolazioni e il dato allarmante della Germania
L’ultimo dato negativo, in parte atteso dagli “addetti ai lavori”, è stato quello di luglio quando le vendite di auto elettriche nel mercato europeo sono calate del 10,8% rispetto al 2023. Se infatti 12,5 macchine su 100 vendute in Europa sono state elettriche, l’anno precedente la percentuale ammontava al 13,5%. E non è l’unico segnale che tiene in allerta produttori e consumatori.
La crescita dell’elettrico nel mondo è innegabile, ma a venire essere messe in discussione sono le tempistiche. La “rivoluzione” non sembra insomma più così immediata.
Secondo la società di consulenza Rho Motion, nel 2023 globalmente le vendite di auto completamente elettriche (Bev) e plug in (Pheb) sono aumentate del 31% rispetto al 2022. Sembrerebbe un dato eccellente, è invece la spia di un deciso rallentamento. L’incremento era stato del 60% nel 2022 rispetto all’anno precedente e addirittura del 100% se si guarda a tre anni fa. Un trend di cui risente soprattutto il “Vecchio Continente”. Se aumentano le immatricolazione delle vetture “ibride”, le auto “full elettric” fanno registrare un aumento di appena l’1,5% nel primo semestre del 2024 secondo quanto riporta l’Acea (L’European automobile manufacturers association), mentre i modelli elettrici prodotti quest’anno sono meno di quelli dell’anno precedente.
E preoccupano i dati della Germania dove le nuove immatricolazioni fanno riscontrare una flessione del 16,4% rispetto al semestre del 2023.
Il problema dei costi e degli incentivi
La prima considerazione è che la transizione verso l’elettrico viaggia a diverse velocità. Come dimostrano i dati del grafico sotto, la spinta verso la vendita di auto elettriche è molto forte in Cina.
In Europa, e in Italia, si scontra con il tema dei costi che molte famiglie vedono ancora come proibitivi e di salari che non riescono più a stare al passo con l’inflazione. La transizione sembra insomma molto difficile senza adeguati incentivi statali. Sono politiche che molti stati hanno messo in campo. La flessione delle vendite in Germania è, ad esempio, una diretta conseguenza della fine degli incentivi per i consumatori, deciso dal Governo nel 2023. Ma i dati, e la conseguente crisi di Volkswagen che ha annunciato licenziamenti e delocalizzazioni, non hanno lasciato indifferente l’esecutivo di Olaf Scholz, che ha già annunciato lo stanziamento di altri incentivi.
In Italia, tra gennaio e luglio, il 3,8% delle auto vendute sono state elettriche. Merito anche degli incentivi che prevedevano fino a 13.500 euro per cambiare auto e sceglierne una a batteria. Finiti gli stanziamenti statali la vendita di vetture di questo tipo ha subito però una netta flessione nel mese di agosto con il 36% di immatricolazioni in meno rispetto all’anno precedente.
E la sensazione è che, se nel 2035 l’Europa ha previsto lo stop alla vendita di auto termiche, il ritardo della “transizione” è ancora rilevante e i tempi potrebbero allungarsi. E i dati sulle tre auto elettriche acquistate dagli italiani nel 2024 confermano l’impressione che questi veicoli stentano a diventare prodotti di “massa” nel nostro Paese, ma tendono a essere relegati a una fascia di consumatori medio-alta.
Tra le auto più vendute nello Stivale nel 2024, ci sono infatti la Tesla Model 3 che parte da un prezzo di oltre 41mila euro, la Tesla Model Y (42.600) e la Volvo Ex30 (36.679 euro). Non esattamente spese abbordabili per tutti. Esistono ovviamente dei modelli più economici (anche a partire da 18mila euro) che risultano sicuramente meno esosi, specialmente se si riescono a utilizzare gli incentivi statali. Il problema è però, nella maggior parte dei casi, la scarsa autonomia, che rende questi veicoli più auto “da città” che da ampi spostamenti.
Al momento insomma, non ci stiamo di certo indirizzando verso un “consumo di massa”, come è stato per il boom dell’auto termica nel secolo scorso. E per la “transizione” questo costituisce un problema non da poco.
La marcia indietro dell’industria automobilistica e la concorrenza cinese
Ma c’è anche chi spinge sull’accelerazione. Il numero uno del Gruppo Volkswagen Oliver Blume, ha recentemente sollecitato la Ue a mantenere la rotta e mantenere l’impegno sullo stop ai motori termici per il 2035. Il punto è quella di ricevere un indicazione “chiara” che impedisca all’industria europea da continuare a produrre auto termiche ed elettriche, con relativo spreco di risorse ed energie. Un orientamento condiviso anche da Renault.
E salgono le preoccupazioni per l’industria automobilistica europea tout court. “La situazione nell’industria automobilistica europea non è rosea”, ha dichiarato recentemente in un’intervista il Commissario uscente per il mercato interno Thierry Breton secondo cui questa crisi è da attribuire in larga parte alla scarsa diffusione dell’auto elettrica.
Ma se l’industria europea è in crisi, quella cinese sembra andare a gonfie vele. Per accorgersi che il cuore della nuova mobilità non è certo nel Vecchio Continente, basta guardare alle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina.
E il problema non sono solo i modelli cinesi, ma anche i marchi europei e americani, come ad esempio Tesla o Bmw, che decidono di produrre nella “Terra del Dragone”, soprattutto per via dei costi di produzione sensibilmente più bassi. E il dato è che la bilancia commerciale è a netto svantaggio per l’Europa. Nello scambio Ue-Cina di auto elettriche perdiamo 8 miliardi: 8,8 miliardi di import contro 800 milioni di export.
Per Bruxelles è un problema che si è deciso di risolvere temporaneamente con dei dazi contro le importazioni di auto dalla Cina che sono entrati in vigore lo scorso 5 luglio. Misure contestate anche dalle stesse case automobilistiche europee (in particolare tedesche) e che sono state “ammorbidite” per marchi come Tesla. Altre aziende hanno invece deciso di spostare la produzione per importare all’interno della Ue senza maggiorazione, mentre le aziende cinesi si preparano a produrre anche in Europa e in Italia anche per scongiurare la guerra commerciale con la Ue. Ma lo scenario rimane molto “effervescente” e la partita aperta.
Nel frattempo l’Europa si deve confrontare anche con la carenza di infrastrutture che, in molte aree del Vecchio Continente, ostacolano l’ascesa dell’elettrico. Il successo del passaggio alla mobilità elettrica in Europa dipende dall’espansione dell’infrastruttura di ricarica, che è “ancora fortemente concentrata in Germania, Francia e Paesi Bassi”, ha affermato Breton. Non è un caso che la Ue abbia puntato su una rete diffusa di ricarica rapida in tutta l’Unione. L’impressione è insomma che nemmeno la transizione sia “un pranzo di gala”. E i soldi pubblici da investire per non farla naufragare non sono pochi.