Il cambio di genere in una nazione europea va riconosciuto anche in tutte le altre

04.10.2024
Il cambio di genere in una nazione europea va riconosciuto anche in tutte le altre
Il cambio di genere in una nazione europea va riconosciuto anche in tutte le altre

Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue dando ragione a un cittadino rumeno che nel Regno Unito aveva compiuto una transizione da donna a uomo, transizione che però non era stata riconosciuta da Bucarest

Se un cittadino europeo compie un percorso di cambiamento di genere, e questo cambiamento viene riconosciuto dalle autorità della nazione in cui vive, anche gli altri Stati membri devono riconoscerlo. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Ue che in una sentenza ha stabilito che il rifiuto di uno Paese di riconoscere il cambiamento di nome e di genere legalmente acquisito in un’altra nazione è contrario ai diritti dei cittadini dell’Unione.

Il caso

Il caso è nato quando un cittadino rumeno, registrato alla nascita come persona di sesso femminile, dopo essersi trasferito nel Regno Unito ha cambiato il suo nome di battesimo e il suo genere da femminile a maschile. Nel maggio 2021 questa persona ha chiesto alle autorità di Bucarest di inserire nel suo certificato di nascita i dati relativi al suo cambiamento di nome, sesso e numero di identificazione personale in modo che corrispondesse al genere maschile, ricevendo però un rifiuto.

Il no della Romania

Le autorità rumene hanno chiesto al loro cittadino di seguire un distinto procedimento giudiziario, finalizzato appunto a ottenere dall’inizio l’approvazione del cambiamento di sesso secondo le regole locali. Ma secondo la Corte Ue la normativa nazionale su cui si fonda la decisione di diniego delle autorità rumene sarebbe “contraria al diritto dell’Ue”. “Ciò si applica anche se la domanda di riconoscimento di tale cambiamento è stata fatta dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione” sostengono i giudici, ricordando che il cambiamento di prenome e di identità di genere è stato ottenuto prima della Brexit e quindi va considerato come “acquisito in uno Stato membro dell’Ue”.

Il rifiuto “ostacola l’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno”, sostiene la Corte, aggiungendo che tale rifiuto insieme al “fatto di costringere l’interessato ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere nello Stato membro d’origine, esponendolo al rischio che il procedimento sfoci in un risultato diverso”, non siano giustificati.

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