Il Destino dei Leader di Giappone e Corea del Sud nelle Negoziazioni Commerciali
La figura di Ursula von der Leyen è stata confrontata con quella di Ishiba Shigeru in Giappone, entrambi in balia di critiche per l’accordo commerciale stipulato con Donald Trump. In sostanza, l’intesa giapponese assomiglia molto a quella con l’UE, poiché gli Stati Uniti hanno incrementato i dazi al 15% su numerosi prodotti nipponici, mentre Tokyo non ha adottato misure contrarie, il che ha aggravato la situazione per Ishiba in un contesto già complesso dal punto di vista politico. Questo ventaglio di critiche evidenzia quanto sia diventato complicato il panorama delle negoziazioni commerciali internazionali, riporta Attuale.
Il ronzio di disapprovazione nei confronti di Ursula deve essere interpretato nel giusto contesto. Se è vero che la presidente della Commissione Europea non ha brillato come negoziatrice, la domanda sorge spontanea: perché anche il Giappone perviene a una situazione analoga? Possiamo classificare i leader di Tokyo come altrettanto incapaci o inetti come quelli di Bruxelles? La Corea del Sud, in una condizione simile, ha accettato un accordo altrettanto vantaggioso per gli Stati Uniti. Ciò suggerisce che le parti coinvolte si sono trovate di fronte a asimmetrie strutturali, che conferiscono agli Stati Uniti un netto vantaggio, essendo il mercato più ampio e aperto, oltre a svolgere un ruolo di protezione militare.
Un’obiezione comune potrebbe affermare che il Giappone non è paragonabile all’Europa a causa della sua dimensione più ridotta, impossibilitandolo a confrontarsi da pari a pari. Tuttavia, il Giappone possiede un’arma di grande rilevanza: è il principale acquirente straniero di titoli del Tesoro americano, superando persino la Cina. Perché non ha sfruttato questa posizione per esercitare una pressione su Trump? Questo rappresenta uno dei fraintendimenti più diffusi che ingannano molti analisti: il debito pubblico americano, ora vicino ai 36.000 miliardi, non deve essere visto esclusivamente come una vulnerabilità.
In realtà, quel debito costituisce il riflesso degli attivi commerciali accumulati da altri paesi. Le nazioni che esportano verso gli Stati Uniti più di quanto importano (come Europei, Giapponesi e Cinesi) devono reinvestire il loro surplus e non esiste un’alternativa valida se non quella di finanziare il debito americano. Questo fenomeno è simile a quel che avviene nell’ambito del credito al consumo: un marchio di automobili, ad esempio, estende credito ai propri clienti non per bontà, ma per incentivarli ad acquistare. Limitare il credito significa danneggiare le vendite. Alcuni economisti americani suggeriscono che il mondo dovrebbe smettere di acquistare dollari e titoli del Tesoro per costringere Washington a ridurre il suo debito.
Discutendo l’ambito geopolitico, un’area di rilevante importanza per la negoziazione commerciale, propongo un estratto dell’intervista rilasciata dal ministro degli Esteri sudcoreano al Washington Post, mentre si trovava a Washington. Perché è interessante? La Corea del Sud, in termini tecnologici, è una superpotenza nel settore dei semiconduttori, necessaria per l’America. Inoltre, ha recentemente sorpassato l’Italia e il Giappone in termini di prodotto interno lordo pro capite. Tuttavia, questa nazione si trova a fronteggiare avversari pericolosi. L’intervista sottolinea come i fattori commerciali siano indissolubilmente legati al contesto geopolitico.
Il neoeletto ministro degli Esteri sudcoreano Cho Hyun, in rappresentanza del governo liberale di Lee Jae Myung, ha visitato Washington in un periodo critico per le relazioni tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud. Questa visita seguì la vittoria di Lee, che pose fine all’era di Yoon Suk Yeol, caratterizzata da tensioni politiche. Cho ha cercato di negoziare un accordo commerciale, evitando l’imposizione di dazi del 25%. Trump ha preannunciato un’intesa preliminare che riduce i dazi al 15% e prevede investimenti sudcoreani per 350 miliardi di dollari negli Stati Uniti, oltre all’acquisto di 100 miliardi di dollari di energia americana. Il riconoscimento dello status di “nazione più favorita” per le aziende sudcoreane in alcuni settori è compreso nell’accordo. Cho ha definito l’accordo mutuamente vantaggioso, in grado di limitare il surplus commerciale senza compromettere la competitività industriale del Paese.
Quando gli è stato chiesto se si sentisse sotto pressione da Trump, Cho ha evitato di scadere in polemiche, accentuando che la Corea non è stata l’unico bersaglio, ribadendo l’importanza della cooperazione. Ha utilizzato una metafora culinaria, paragonando i negoziati a un salame, da gustare senza voler scoprire il processo di preparazione. Ha menzionato le problematiche legate alla guerra in Ucraina, al programma nucleare nordcoreano e alla sinergia militare tra Mosca e Pyongyang come fattori di instabilità. Inoltre, ha rivelato che oltre 10.000 soldati nordcoreani sono stati dispiegati verso Ovest e ha espresso preoccupazione per un possibile trasferimento di tecnologia militare da Mosca a Pyongyang.
Infine, parlando delle tensioni con la Cina, Cho ha riconosciuto l’aggressività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Giallo, sottolineando però l’importanza di mantenere attivo il dialogo. Ha anche visitato il Giappone prima di Washington con l’intento di stabilire un fronte regionale in grado di coinvolgere la Cina nel rispetto delle normative internazionali. In merito alla presenza militare americana in Corea del Sud, Cho ha affermato che non vi sono segnali di una riduzione delle truppe e che i senatori americani presenti hanno rassicurato sul mantenimento dell’attuale status, liquidando come «irrealistica» la prospettiva di un ritiro.