Il diario del patriarca tra le macerie della Striscia. «Pizzaballa ha voluto conoscere i panificatori, ha scherzato con loro e ha osservato attentamente i passaggi per la preparazione delle ostie», spiega il portavoce Farid Jubran, riporta Attuale.
Nella cucina della Sacra Famiglia, uomini e donne si sono dedicati alla preparazione delle ostie per la messa. Alcuni mescolano farina di frumento e acqua, mentre altri stendono l’impasto su piastre roventi. In questi spazi, chi utilizza uno stampo di ferro, dono di un italiano, «prende» il pane azzimo per realizzare cialde circolari da consacrare e distribuire ai fedeli. Raccontano che anche se non sono ostie perfette, la loro presenza consente di celebrare l’eucarestia: per i cristiani di Gaza, rappresentano uno dei pochi gesti di pace in un contesto di quotidianità perduta.
Prima del conflitto, le ostie venivano consegnate da camion provenienti da Gerusalemme, ma da allora non sono più arrivate, come il resto delle forniture. Il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa ha visitato i panificatori, ridendo con loro e osservando attentamente il processo di preparazione, spiega Farid Jubran, portavoce, che oggi, intorno all’ora di pranzo, aspetta il ritorno del cardinale a Gerusalemme. Jubran racconta le 48 ore di Pizzaballa nella Striscia che comprendono una visita all’unica parrocchia cattolica — la Sacra Famiglia — dopo l’attacco israeliano che ha causato tre morti e alcuni feriti, incluso il sacerdote Gabriel Romanelli.
La mattina di venerdì
Il viaggio è iniziato venerdì. Pizzaballa e il patriarca greco-ortodosso Teofilo III si trovano al confine con Gaza alle 8 e 30 del mattino. Ricevono una prima chiamata: è papa Leone XIV. Il discorso verte su un cessate il fuoco e sulla solidarietà al popolo palestinese. La missione è accompagnata da camion pieni di aiuti per la comunità cristiana «e per tutti quelli che vivono nei dintorni».
I due religiosi entrano quattro ore dopo. I camion carichi di cibo e medicine, tuttavia, attendono ancora il permesso di passare. «Se Dio vuole, lunedì potranno passare», continua il portavoce, mostrando preoccupazione. Il tragitto in auto verso la parrocchia richiede circa cinquanta minuti, quasi il doppio del tempo necessario prima del conflitto. Si spostano su un veicolo della chiesa, ma ciò non garantisce la loro sicurezza.
È la terza visita del Patriarca nella Striscia. La sua prima entrata risale al 16 maggio 2024, seguita da una visita a Natale. Pizzaballa ha spesso affermato che Gaza, come la conosciamo, non esiste più. La devastazione è immensa: non ci sono più strade, fognature, edifici, né infrastrutture. Cinquecento fedeli della comunità cristiana risiedono tra i banchi della chiesa, nonostante le direttive di evacuazione.
La prima tappa
La prima tappa è il complesso della Sacra Famiglia, che ospita anche la residenza delle suore, una scuola, gli uffici parrocchiali e un campo sportivo. Dopo emotivi abbracci, visitano la chiesa: «I danni non sono così gravi, solo una parte del tetto è quasi distrutta», riferisce Jubran.
Ricevono una seconda chiamata. È il leader dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, che afferma: «Non attaccate i siti religiosi». Pizzaballa e Teofilo III incontrano i fedeli, affaticati e commossi. Offrono le loro condoglianze alle famiglie delle tre vittime e ascoltano le storie di chi è sopravvissuto. Proseguono la visita nella chiesa ortodossa di San Porfirio, che si trova a dieci minuti di macchina.
Si recano all’ospedale Al-Ahli, a Gaza City, dove girano tra i letti dei malati e dei feriti di guerra «portando parole di speranza e di pace». Incontrano il personale medico, che illustra le condizioni catastrofiche dei reparti e sottolinea la grave mancanza di medicine.
La messa in parrocchia
La sera di venerdì, il patriarca greco-ortodosso fa ritorno a Gerusalemme, mentre Pizzaballa resta a Gaza. Celebra la messa insieme a padre Gabriel, don Davide e padre Marcelo. «Desidera passare il maggior tempo possibile con la comunità», racconta Jubran. Si siede con gli uomini e le donne, ascolta e osserva i bambini giocare. Il patriarca si unisce ai religiosi per un pasto e trascorre la notte nell’abitazione delle suore, «là si trova la sua camera».
Il sabato mattina, prosegue il suo giro, nonostante i droni che sorvolano la zona e il numero crescente di morti. Attraversa le macchie di Gaza per raggiungere le strutture della Caritas e un centro di distribuzione alimentare, dove benedice il cibo e tutte le persone coinvolte nella sua preparazione. Riparte oggi, dopo aver celebrato la messa. Il raid sulla nostra chiesa è una tragedia, ma non è nulla rispetto a ciò che accade ogni giorno a Gaza.