Israele attacca l’Iran, Teheran risponde con i missili: è l’inizio della guerra
(Davide Frattini, da Gerusalemme) La prima sirena risuona come un campanello d’allarme per la popolazione israeliana, costringendo milioni di cittadini a cercare il cellulare nel buio alle 3 del mattino per leggere il messaggio di emergenza che lampeggia sullo schermo, accompagnato da un suono inquietante: il governo dichiara l’emergenza nazionale dopo aver ordinato bombardamenti sull’Iran. La raccomandazione è quella di rifugiarsi nei bunker o perlomeno di non allontanarsi dalle porte delle stanze sicure, dai garage pubblici che garantiscono protezione, o dalle scale di emergenza, progettate per resistere all’impatto di missili e droni. Tuttavia, fino al tramonto, gli allarmi non riempiono più le strade deserte, mentre l’aviazione israeliana prosegue con le offensive contro i centri nucleari, bersagliando scienziati e generali coinvolti nell’operazione, che l’intelligence israeliana crede essere la preparazione per una possibile minaccia nucleare. Questa opinione è stata confermata recentemente anche dall’Agenzia atomica delle Nazioni Unite, che ha evidenziato l’accumulo di uranio arricchito. Le stesse statistiche che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato in un video registrato prima di rifugiarsi nel bunker.
I jet attaccano da quasi duemila chilometri di distanza anche senza il supporto americano, che sino a poco fa era considerato indispensabile. Solo nelle prime ore, centinaia di aerei sono stati coinvolti. Gli obiettivi comprendono le strutture di Natanz, ritenuto il principale impianto del programma nucleare, il centro di Isfahan, almeno sei basi militari, e mirano ai vertici dell’esercito: tra le vittime figura Mohammad Bagheri, capo delle forze armate, insieme a Hossein Salami, comandante dei Pasdaran, e Ismail Qaani, a capo dell’unità Quds, specializzata in missioni clandestine. I missili colpiscono i centri di potere a Teheran, mentre il Mossad è responsabile delle operazioni più delicate: ha creato rampe per i droni all’interno dell’Iran. Il bilancio delle vittime ammonta a 78.
Un centinaio di droni rappresentano la prima risposta: vengono intercettati prima di raggiungere il territorio israeliano. Molti si illudono che la calma duri, ma la popolazione fa scorte nei supermercati, consapevole che l’operazione “Leone che sorge” è una vera e propria guerra. Abbas Araghchi, ministro degli Esteri iraniano, la definisce una “dichiarazione di guerra”.
Netanyahu in un messaggio successivo avverte che “l’offensiva richiederà tutto il tempo necessario, ci aspettano giorni difficili, e gli attacchi iraniani saranno intensi e multipli”. Riservisti vengono convocati “per attività offensive e difensive su più fronti”, e un ufficiale spiega al Wall Street Journal che lo stato maggiore ha previsto 14 giorni di conflitto con Teheran. Abbastanza per far sì che Moshe prepari la dispensa con cibo in scatola, acqua e minestre in polvere. Non abbastanza per mantenere tutti in casa fino a quando non risuoneranno gli allarmi, mentre l’ansia si standardizza sotto la luce del sole, nei parchi vicini. Il comando per il Fronte Interno promette “10 minuti” per raggiungere un rifugio, ma ammette: “Non ci sono garanzie”. Il Pride degli Lgbtq+ viene annullato e l’aeroporto Ben Gurion chiude per la prima volta nella storia recente del Paese, con gli aerei nazionali trasferiti in altre nazioni per evitare distruzioni.
Con la notte giunge un ulteriore avviso sui telefoni: è obbligatorio restare vicino ai rifugi, non muoversi per strada e non creare assembramenti. Gli occhi vigili dell’intelligence hanno monitorato preparativi per il lancio di missili balistici, che impiegano dodici minuti per raggiungere Israele dall’Iran. Contemporaneamente, la televisione statale annuncia un discorso di Ali Khamenei, la Guida Suprema: “Le nostre forze armate faranno pagare questi crimini, non useremo mezze misure”.
Gli ospedali israeliani hanno già iniziato a trasferire i pazienti più critici nei sotterranei, in preparazione all’emergenza e alle vittime in città come Gerusalemme e Tel Aviv. Intanto, il comando militare ha rivelato una minaccia ai Pasdaran: se colpite civili e aree residenziali, gli obiettivi politici saranno presi di mira. Le sirene suonano in tutto il Paese, decine di missili volano, sette riescono a penetrarvi difese, causando esplosioni a Tel Aviv, con almeno 40 feriti segnalati. È solo l’inizio, e la notte si illumina di scie e esplosioni.
A giovedì, il presidente Donald Trump aveva dichiarato di non considerare imminente un attacco israeliano, affermando di non voler procedere finché un accordo con l’Iran fosse ancora possibile. Ora sembra che le sue parole abbiano servito a deviare i sospetti iraniani, anche se gli americani precisano: “Non siamo coinvolti”.
Per proteggere le basi, le ambasciate in Medio Oriente — già parzialmente evacuate nei giorni precedenti — e l’alleato israeliano, il Pentagono sta inviando navi da guerra nella regione. Trump non intende apparire come un leader all’oscuro e probabilmente non lo è stato. In ogni caso, contatta personalmente i media nazionali per affermare: “Non sono stato avvertito all’ultimo minuto, sapevo tutto mentre accadeva”. E minaccia gli iraniani: “Accettate l’intesa sul nucleare con me, oppure I bombardamenti saranno più devastanti”.