Da Gaza allo Yemen, dal Libano alla Siria: a quasi un anno dall’attacco del 7 ottobre Hamas sembra già un lontano ricordo. Per Netanyahu l’obiettivo è cancellare l’intero “Asse della Resistenza” di Teheran
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato che parlerà con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sottolineando che una guerra totale in Medio Oriente “deve essere evitata”. La potenza di fuoco sganciata nelle ultime ore dall’esercito di Tel Aviv non solo su Beirut, ma anche sui combattenti filo-iraniani al confine tra Siria e Iraq, e soprattutto sulle infrastrutture strategiche degli Houthi in Yemen, sembrano far presagire che la guerra totale sia già iniziata. Una conferma potrebbe arrivare nelle prossime ore con l’invasione del Libano da parte delle truppe israeliane.
Un anno di guerra (totale)
È trascorso quasi un anno da quel tragico 7 ottobre in cui i miliziani di Hamas attaccarono Israele provocando circa 1.200 morti, di cui gran parte civili. La risposta del governo di Benjamin Netanyahu ha polverizzato Gaza, ma con il passare del tempo è apparso evidente che l’obiettivo del leader di Tel Aviv non era solo (o tanto) Hamas. Quella che si è innescata in Medio Oriente è una guerra (totale o meno) da parte di Israele contro l’intero “Asse della Resistenza”, ossia l’insieme dei gruppi di miliziani alleati e sostenuti dall’Iran in Palestina, Libano, Siria, Iraq e Yemen. Anche se non confermato ufficialmente, Tel Aviv è riuscito a penetrare fin dentro Teheran, uccidendo lo scorso luglio il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. Non a caso, secondo fonti israeliane, il leader iraniano Ali Khamenei sta passando gli ultimi giorni in un bunker per sfuggire alla lunga mano di Israele.
I raid in Yemen e Siria
Un “mano” capace di colpire a oltre 2mila chilometri di distanza, da un punto all’altro del mar Rosso, in Yemen. Qui, domenica, i missili e i droni di Israele hanno colpito i porti strategici di Hodeida e di Ras Issa, uccidendo quattro persone e ferendone 33, hanno dichiarato i media vicini agli Houthi. L’esercito israeliano ha affermato che “durante un’operazione aerea su larga scala, dozzine di aerei dell’aeronautica militare hanno attaccato obiettivi militari del regime terroristico Houthi nelle regioni di Ras Issa e Hodeida”. “Le centrali elettriche e un porto marittimo presi di mira venivano utilizzati dagli Houthi per trasferire armi iraniane nella regione e forniture per esigenze militari”, ha aggiunto un portavoce dell’esercito, David Avraham. “Il messaggio è chiaro, per noi, nessun posto è troppo lontano”, ha dichiarato trionfante il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant.
Poche ore prima dell’attacco in Yemen, l’esercito di Tel Aviv aveva lanciato un attacco anche in Siria, al confine con l’Iraq, uccidendo 12 miliziani filoraniani. Il tutto mentre in Libano il numero dei raid israeliani ha raggiunto quota 120. Di fronte a tale potenza di fuoco, all’Iran non resta per ora che proferire minacce, che difficilmente verranno tramutate in azioni capaci di impensierire davvero Israele. “Qualunque sia la risposta scelta dall’Iran, è probabile che la adatterà in modo da evitare di scatenare una guerra che non potrà mai sperare di vincere”, scrive l’emittente britannica Bbc.
L’invasione del Libano
Netanyahu ha dalla sua il sostegno degli Stati Uniti, ma anche lo “scudo” di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Giordania. Ecco perché gli analisti sono convinti che la prossima mossa di Tel Aviv sarà l’invasione del Libano. Come ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, un arretramento di Hezbollah dietro la zona delimitata dalla cosiddetta Linea blu e il fiume Litani potrebbe evitare l’operazione di terra. Ma “il problema è che Hezbollah è privo di ordini, cioè tutti i combattenti di Hezbollah non hanno ordini avendo perso il capo e tutti gli altri leader”, eliminati in pochi giorni dai raid di Tel Aviv. Il “partito di dio” è nel caos. E proprio per questo Netanyahu vuole piazzare le sue truppe in Libano per controllare da vicino quel che resta dell’organizzazione. Un po’ come a Gaza e in Cisgiordania.