Un’applicazione per il ciclo mestruale, che fornisce consigli su dieta, umore e possibilità di concepimento; al momento in cui si scopre la gravidanza, si attiva la «modalità gravidanza», mostrando un «grappolino di cellule che galleggiava pigro intorno a una sfera venata». L’app, chiamata Flo, offre un’esperienza visiva della gravidanza, dove lo zigote diventa embrione e poi feto, con paragoni che variano da un pisellino a un fico, per le donne che si preparano a diventare madri, riporta Attuale.
Un’esperienza altrettanto comune riguarda la pubblicità sui social media: «I brand ci misero 48 ore a trovarmi». Solo due giorni dopo il test di gravidanza positivo, su Instagram iniziano a comparire annunci mirati riguardanti vitamine prenatali, abbigliamento premaman e perfino videogiochi. Amanda Hess, nel suo memoir Un’altra vita (Einaudi), racconta di come la pubblicità diventi così personalizzata da apparire intima, mentre invece rappresenta l’annientamento della privacy. Infatti, gli annunci la raggiungono ancor prima che abbia trovato un ginecologo.
Hess, che scrive per New York Times e si occupa di cultura digitale e tecnologia, racconta la sua esperienza di maternità, intrecciando le sue esperienze con tecnologie moderne e teorie pedagogiche. All’inizio, si avvicina con entusiasmo alla tecnologia, ma la scoperta di un’anomalia genetica nel suo bambino trasforma questo attivismo in un’angoscia crescente.
Nella sua narrazione, Hess descrive il bombardamento di voci “autorevoli” che la perseguitano settimana dopo settimana, ecografia dopo ecografia. Le utenti anonime della chat di Flo, i medici privi di empatia e i gruppi Facebook delle sostenitrici del «Free Birth» intervengono e incombono, creando un’atmosfera di pressione inaccettabile. Le più varie informazioni, spaziando dai tutorial online sull’allattamento alle agitazioni sociali dei genitori riguardanti la salute dei bambini, si accavallano nel suo percorso di maternità.
In un contesto simile, molte donne si ritrovano ad affrontare una quantità senza precedenti di pubblicità e informazioni legate alla gravidanza, dando vita a un’esperienza quotidiana della maternità che appare come un intricato labirinto di suggerimenti e oppressioni. «Io voglio che su internet non ci sia traccia di mia figlia», afferma Claudia N., per esempio, madre di una bambina di nove mesi, che ha scelto di disinstallare tutte le app social dal suo smartphone per proteggere la privacy della sua famiglia.
Claudia, che ha costruito una carriera nella comunicazione social, racconta che, una volta incinta, Instagram ha cominciato a proporle contenuti a tema, innalzando la sua ansia. Sebbene all’inizio credesse che i social potessero aiutarla a prepararsi alla maternità, presto si rende conto di come questi la facciano sentire più insicura e vulnerabile. Nonostante la sua esperienza nel mondo digitale, Claudia sceglie di distaccarsi da queste piattaforme, realizzando che le interazioni nel mondo reale difficilmente possono essere replicate online.
Le sue considerazioni sono sostenute da un’esperienza di vita reale: la connessione con le amiche, i medici e i libri forniscono una comprensione più profonda ed empatica della maternità, rispetto ai brevi e frammentari video sociali, che tendono a generare soltanto confusione. Questo porta Claudia a valutare cos’abbia realmente bisogno come madre, e sottolinea l’importanza di stabilire un ambiente più sano, al riparo da una sovrabbondanza di informazioni digitali invasive.
Così, mentre molte madri affrontano la dinamicità del mondo social, c’è chi decide di resistere, cercando di definire la propria maternità in modi più significativi e autentici. È chiaro che la tecnologia, piuttosto che semplificare la maternità, crea nuove sfide senza precedenti.
Conclusione
Il dibattito sulla presenza dei social nella vita delle madri continua a dividersi, evidenziando un disagio crescente. Se da un lato possono offrire supporto e connessione, dall’altro rischiano di diventare fonti di ansia e perdita di privacy. Per molte, la protezione della propria intimità e della salute mentale sembra ora diventare la priorità assoluta.