Izz al Din al Haddad, noto anche come Abu Suheib, si è guadagnato il soprannome di «fantasma» ma è ben presente. Infatti, dall’ultima assunzione della leadership di Hamas, ha dimostrato una significativa influenza, eredita dell’autorità dei suoi predecessori.
Con 55 anni di esperienza, ha iniziato il suo percorso nelle Brigate al Qassam, dedicandosi poi alla sicurezza interna con il servizio di intelligence al Majd. Più recentemente, dal 2021, ha guidato la Brigata Gaza, accumulando riconoscimenti e esperienza fortemente collegate a varie campagne militari contro Israele. Secondo fonti di intelligence, avrebbe coordinato i preparativi per l’assalto dell’8 ottobre, tenendo informati i suoi alleati regionali, sebbene senza dettagli specifici. Dopo l’inizio del conflitto, è finito nella lista nera dell’Idf. Diverse sono state le operazioni per eliminarlo, che hanno anche portato alla morte dei suoi due figli, Suheib e Moaz, e alla perdita di alcuni dei suoi collaboratori più fidati, tra cui Mahmoud Abu Hiseira. Attualmente, lo Shin Bet ha messo su di lui una taglia di 750 mila dollari per chiunque voglia tradirlo. È descritto come una persona pragmatica ma allo stesso tempo inflessibile, affermando in un’intervista che le uniche due strade sono un accordo onorevole oppure il martirio, riporta Attuale.
Un ex ostaggio israeliano ha dichiarato di averlo incontrato diverse volte durante la detenzione, condividendo anche il luogo trasformato in carcere. Nella prima occasione, al Haddad si è mostrato meno severo, vantandosi della sua capacità di gestire i prigionieri. Tuttavia, in un incontro successivo, l’atteggiamento è apparso più cupo, influenzato dalla morte del figlio Suheib. Le ricostruzioni suggeriscono che sarebbe lui a prendere le decisioni finali durante le trattative, nonostante ci siano sempre rappresentanti in esilio come l’ideologo Khalil al Hayya e il responsabile finanziario Zaher Jabarin. A Gaza, Raed Saad, conosciuto come Abu Moaz, rimane un membro influente del braccio politico, uno dei pochi sopravvissuti alle offensive recenti.
La leadership di Hamas mantiene una forza di circa 20-25 mila uomini, un arsenale di razzi drasticamente ridotto dal 15% ma, in particolare, importanti sezioni della rete di tunnel rimangono intatte. Nonostante gli attacchi dell’Idf, le gallerie consentono alle forze della resistenza di continuare le operazioni, organizzare imboscate e nascondere prigionieri, mantenendo la capacità “guerrigliera” sufficiente a infliggere perdite al nemico: 444 soldati sono morti dall’inizio del conflitto. Gli alti comandi israeliani sostengono che Hamas non funziona più come un’organizzazione centralizzata ma si è decentralizzata, affidandosi a cellule autonome. Questo non toglie loro il riconoscimento come interlocutori, nonostante le manovre di Tel Aviv e di alcuni Stati arabi volti a frammentare la realtà palestinese e a sostenere clan locali, come quello di Abu Shabab.
L’ultimo periodo per il movimento non è stato affatto semplice. I suoi principali alleati — Hezbollah e le milizie sciite irachene — si sono dimostrati passivi, ostacolati dalle loro stesse difficoltà e dalla volontà di evitare ulteriori conflitti. L’Iran, sotto attacco, ha subito la perdita di ufficiali storicamente coinvolti nel supporto alle operazioni. Gli analisti citano almeno tre nomi: Esmail Shakeri, che ha assistito le Brigate al Qassam nel creare il reparto dei deltaplani motorizzati utilizzati durante l’assalto ai kibbutz; Saed Izadi, che si occupava della sezione Palestina dei pasdaran; e Benham Shahriyari, che ha facilitato il trasferimento di materiale bellico ai gruppi amici nel Medio Oriente. L’offensiva israeliana ha avuto un impatto significativo sull’operatività ideata da Teheran, bloccando il valore di “mutuo soccorso” e non riuscendo a debellare l’opposizione principale. L’obiettivo dell’Idf, secondo le loro dichiarazioni ufficiali, è di assicurarsi il controllo del 75% del territorio, preparando il terreno per un futuro incerto. Nel frattempo, la popolazione palestinese è intrappolata nel conflitto, soffrendo il gelo delle bombe e della fame, decimata da incursioni che hanno portato a migliaia di vittime.