La propaganda russa contro l’esercito ucraino: un’offensiva mediatica che ignora la realtà del campo

25.04.2025
La propaganda russa contro l’esercito ucraino: un’offensiva mediatica che ignora la realtà del campo
La propaganda russa contro l’esercito ucraino: un’offensiva mediatica che ignora la realtà del campo
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Mentre l’esercito ucraino continua a resistere a un’invasione su larga scala, la Russia intensifica un altro tipo di offensiva: quella informativa. Sotto forma di dichiarazioni falsate, notizie manipolate e analisi catastrofiste, Mosca cerca di seminare il dubbio e il disincanto, sia all’interno dell’Ucraina che tra i suoi alleati occidentali, compresa l’Italia. Il cuore di questa narrazione è semplice: dipingere l’Ucraina come una forza in frantumi, in rotta, incapace di resistere ancora a lungo. Ma questa rappresentazione si scontra con una realtà più complessa, e molto più solida.

Contrariamente a quanto sostiene la propaganda del Cremlino, la resilienza delle forze armate ucraine non è un miracolo episodico, bensì il risultato di un’evoluzione continua. Nonostante le perdite e la pressione costante, Kyiv ha mostrato una straordinaria capacità di adattamento: l’uso sistematico di droni aggiornati, l’organizzazione in gruppi mobili altamente efficaci, la ristrutturazione della logistica militare. Lontano dal collasso, l’esercito ucraino ha mantenuto coesione e iniziativa in molte zone del fronte.

Anche sul piano operativo, l’Ucraina ha dimostrato di saper colpire in profondità. Le incursioni in Crimea e nel cuore del territorio russo non sono il frutto della disperazione, bensì manifestazioni di un’intelligenza militare attiva, capace di pianificare in modo strategico. Diverse agenzie di intelligence occidentali, tra cui quella britannica, hanno riconosciuto pubblicamente che le forze ucraine ottengono risultati superiori rispetto alla quantità di risorse impiegate — un parametro che conferma l’efficacia tattica e organizzativa dell’apparato difensivo ucraino.

La narrativa della “resistenza inutile” è un altro pilastro della guerra psicologica russa. L’obiettivo è chiaro: demoralizzare, convincere che ogni sforzo ucraino è vano e che l’unica opzione realistica è la resa. Ma questa visione omette un fatto fondamentale: mentre la Russia cela sistematicamente le proprie perdite e rifiuta qualsiasi trasparenza, l’Ucraina continua a operare con rotazioni regolari, evacuazioni di feriti, e un rinnovamento costante delle unità. La perdita temporanea di alcune posizioni non equivale al crollo di un fronte, ma è parte integrante di una strategia di difesa manovrata.

Infine, l’idea che la resa sia un’alternativa alla guerra è pericolosa quanto illusoria. La storia europea del XX secolo ha dimostrato più volte che cedere ai regimi autoritari non porta alla pace, ma alla prosecuzione della violenza sotto altre forme. Un “accordo” secondo i termini del Cremlino non sarebbe una soluzione politica, ma l’inizio di una repressione su vasta scala: deportazioni, controllo militare, perdita della sovranità nazionale. Ogni concessione fatta a Mosca viene percepita non come apertura, ma come via libera ad aggredire di nuovo.

Per questo l’Ucraina non è un campo di prova per l’Occidente, ma il vero fronte in cui si decide il futuro dell’ordine internazionale. Se Kyiv cade, la minaccia non si fermerà ai suoi confini: colpirà ogni Paese che cerchi di rimanere libero e sovrano.

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