L’economia russa mostra segnali di debolezza a quasi quattro anni dall’invasione in Ucraina

29.11.2025 11:55
L'economia russa mostra segnali di debolezza a quasi quattro anni dall'invasione in Ucraina

Debolezze emergenti nell’economia russa a quasi quattro anni dall’invasione in Ucraina

A quasi quattro anni dall’inizio dell’invasione in Ucraina, l’economia russa mostra significativi segni di debolezza. Queste fragilità, sebbene non rappresentino una minaccia immediata al regime di Vladimir Putin, stanno già complicando il finanziamento della guerra. Ciò potrebbe rappresentare un problema rilevante a lungo termine tanto per l’economia russa quanto per la stabilità del regime, riporta Attuale.

Dopo una crescita superiore al 4% nel 2023 e nel 2024, a sorpresa per molti analisti, il Prodotto Interno Lordo (PIL) russo nel 2025 sta mostrando segni di rallentamento. Nei primi due trimestri dell’anno, la crescita è stata dell’1,4% e dell’1,1%, mentre nel terzo trimestre è scesa allo 0,6%. Si prevede persino una lieve contrazione negli ultimi tre mesi dell’anno. In totale, la crescita del 2025 dovrebbe attestarsi intorno all’1%, superiore a quella italiana.

Inizialmente, l’espansione dell’economia russa durante i primi anni di guerra è stata sostenuta da vari fattori, in particolare dalla disponibilità finanziaria grazie a un cospicuo fondo sovrano alimentato da anni di profitti dalle vendite di gas e petrolio. Inoltre, i prezzi elevati del petrolio, causati in parte dall’invasione stessa, hanno consentito alla Russia di continuare a esportare verso mercati come Cina e India, mantenendo alti gli introiti.

La Russia ha anche beneficiato di una rapida riconversione della sua economia verso uno stato di guerra, completando la costruzione di nuove industrie e infrastrutture, creando occupazione e finanziando i settori attraverso prestiti statali favorevoli.

Tuttavia, queste condizioni stanno cominciando a deteriorarsi. La riconversione economica è giunta al termine, interrompendo l’impulso iniziale di crescita. Il prezzo del petrolio si è stabilizzato e si prevede che nel 2025 le entrate generative dalla sua vendita caleranno del 20%. Le recenti sanzioni statunitensi nei confronti delle compagnie petrolifere russe hanno ulteriormente complicato la situazione, costringendo il governo a intaccare il fondo sovrano, la cui dimensione è ora dimezzata rispetto ai livelli pre-invasione.

Con il fondo sovrano limitato e le entrate petrolifere in diminuzione, la Russia ha cominciato a spendere più di quanto incassa, con un deficit previsto del 2,6% del PIL, ben al di sopra dell’originaria stima dello 0,5%. Tre sono al momento le strategie di finanziamento disponibili: emettere debito, aumentare le tasse o tagliare le spese, nessuna delle quali è priva di complessità.

In situazioni normali, uno stato come la Russia avrebbe un facile accesso al finanziamento attraverso titoli di stato. Tuttavia, a causa delle sanzioni, non può rifinanziare il debito sui mercati internazionali, potendo promuoverlo solo a livello domestico, dove le banche russe sono gli unici principali acquirenti. Le risorse per tali acquisti provengono dalla banca centrale, che immette ulteriore liquidità nel mercato.

Tale situazione crea un ciclo vizioso: un aumento della liquidità porta a inflazione e, per contrastarla, la banca centrale è costretta ad alzare i tassi d’interesse. Questo a sua volta inibisce la crescita economica e riduce le entrate statali, richiedendo un ulteriore indebitamento che amplifica l’inflazione, potenzialmente creando un circolo vizioso.

In risposta a questa spirale, il governo russo ha adottato misure contrariate aumentando le tasse e riducendo le spese. L’anno scorso, il governo ha incrementato la tassazione sui redditi e su alcuni settori produttivi, come quello dei fertilizzanti e dell’acciaio. La legge di bilancio recentemente approvata prevede inoltre che, a partire da gennaio 2026, l’IVA aumenterà dal 20% al 22% su quasi tutti i prodotti, ad eccezione di alcuni beni essenziali, contraddicendo la promessa di Putin di non aumentare le tasse fino al 2030.

Un indicatore significativo di questa situazione preoccupante è la decisione di ridurre la spesa militare per la prima volta dall’inizio della guerra, passando da 141 miliardi di euro nel 2025 a circa 135 miliardi di euro nel 2026. La spesa militare aveva incrementato notevolmente, coprendo il 40% della spesa pubblica totale russa.

Nonostante le difficoltà economiche, ciò non implica che la Russia sia sul punto di collassare o di non riuscire a sostenere il proprio sforzo bellico. Al contrario, l’Ucraina si trova in una situazione finanziaria molto più difficile, rischiando di esaurire i propri fondi già nel prossimo anno senza il supporto europeo.

Tuttavia, le attuali difficoltà russe comportano che un sostenimento della guerra richiederà scelte sempre più complicate per il regime di Putin, rendendo la guerra meno conveniente rispetto al passato.

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