L’Italia in uno stato di tensione sociale: giovani in movimento contro l’indifferenza

09.12.2025 11:25
L'Italia in uno stato di tensione sociale: giovani in movimento contro l'indifferenza

La piazza è stata recentemente sgomberata, lasciando a terra cartelli bagnati e volantini calpestati, mentre si allontanano i furgoni degli agenti. I ragazzi si disperdono nei vicoli circostanti, qualcuno con il giubbotto aperto e lo zaino pesante, altri che continuano a discutere animatamente nonostante la stanchezza. “Non finisce qui”, sussurrano. Un’affermazione che riflette la crescente consapevolezza dei giovani italiani, i quali non possono più permettersi di aspettare, devono agire subito, anche di fronte ai rifiuti, riporta Attuale.

Un senso di conflitto costante

Questo scenario, sempre più comune in molte città italiane durante le manifestazioni pro Palestina, nelle scuole occupate o nelle proteste contro i tagli e gli accorpamenti scolastici, rappresenta un chiaro segno dell’età selvaggia descritta dall’annuale rapporto del Censis. Non è tanto la violenza a dominare, quanto la frizione costante: una tensione bassa ma continua che permea le relazioni, la fiducia e la percezione del futuro. Si vive in un Paese che ha perso morbidezza ed elasticità, dove ogni gesto sembra più duro e ogni relazione più fragile, rendendo il rischio di conflitto sempre presente.

Il clima del “tutti contro tutti” non è quindi una mera astrazione sociologica, ma si concretizza nelle interazioni quotidiane, dagli sportelli pubblici agli ospedali, nei supermercati e nei mezzi di trasporto. Anche le conversazioni sui social si trasformano rapidamente in conflitti accesi. Ci si guarda con sospetto, come se l’altro fosse sempre un ostacolo o una minaccia, tanto che il gesto di porgere la mano diventa il più pericoloso dei segnali.

L’individualismo competitivo

Il Censis parla di individualismo competitivo, un modo di affrontare la vita più che di convivere. Questa mentalità si riflette nelle azioni quotidiane dove l’io prevale sul noi, rendendo le fratture identitarie ancora più evidenti. Non esiste più un “noi” condiviso; ci sono solo gruppi percepiti come minoranze dimenticate e generazioni che faticano a comprendersi.

Le generazioni faticano a capirsi

I giovani italiani, precarizzati e disillusi, reagiscono con una forma di energia che può apparire come pura rabbia. È un tentativo di non scomparire in un presente che si protrae indefinitamente. Gli adulti, inclusi i Millennials, si mostrano sempre più rigidi in risposta ai cambiamenti rapidi, alimentando così un conflitto generazionale che si fa sempre più emotivo. Cresce un rancore silenzioso che si insinua nelle conversazioni familiari e nelle chat, creando un’atmosfera pesante.

Resistenza

Tuttavia, proprio dove le fratture sembrano più profonde, emergono resistenze che non fanno rumore ma tengono insieme. Giovani che tornano in piazza dopo ogni respingimento, gruppi che si organizzano per mantenere spazi comuni come biblioteche e iniziative di quartiere, famiglie che trovano modi di cura reciproca anche in tempi difficili. Volontari si schierano come argini silenziosi contro l’isolamento sociale, dimostrando che esiste una nota di vita e empatia che persiste nonostante le avversità. Questo paradosso dell’età selvaggia rivela sia le crepe sia la resilienza che cerca di ripararle. La tensione è realistica, ma lo è anche la volontà di non affondare. Un Paese nervoso è, in certo senso, ancora vivo.

L’età selvaggia? Non l’abbiamo scelta, ci siamo finiti dentro

La verità è che l’età selvaggia ci ha colti di sorpresa, lasciandoci soli a fronteggiare le sfide quotidiane. Possiamo però decidere come affrontare questa epoca, se lasciarci modellare dalla rabbia o dalla partecipazione, dall’egoismo o dalla solidarietà umana. Un Paese davvero rassegnato non vedrebbe nessuno tornare in piazza anche dopo un respingimento. L’Italia di oggi vacilla, ma resiste. La sua forza più autentica potrebbe risiedere nella costante ricerca di comunità, anche in mezzo alla pioggia, anche quando gli spazi vengono messi in discussione. L’età selvaggia ci attraversa, ma non ci definisce. Siamo noi a decidere cosa farne e, a giudicare da coloro che continuano a rivendicare un posto nel futuro, la nostra storia non è ancora finita.

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