Con ogni probabilità la Commissione farà scattare le sue tenaglie per contenere le spese del governo: i tagli potrebbero arrivare a 9 miliardi all’anno
Come ammesso in questi giorni dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ritorno del Patto di stabilità, sospeso in seguito alla pandemia e alla crisi energetica, coinciderà con ogni probabilità con l’apertura di una procedura d’infrazione da parte dell’Ue nei confronti dell’Italia, la cosiddetta procedura per disavanzo eccessivo. Il governo, infatti, prevede che per il 2024 non riuscirà a contenere le spese di bilancio al di sotto del 3 per cento del Pil, come stabilito dalle norme fiscali di Bruxelles, attestandosi sul 4,3 per cento. Il tutto a fronte di un debito pubblico che continua a crescere e viaggia oltre il 140 per cento del Pil. Inevitabilmente, dunque, la situazione dei nostri pubblici farà scattare le tenaglie della Commissione (e non solo per noi).
Come funziona la procedura per disavanzo eccessivo
Sebbene le regole del Patto siano state cambiate di recente, il cosiddetto “braccio correttivo” dell’esecutivo Ue è rimasto intatto, così come i tetti di spesa: chi li sfora entra nella procedura. L’Italia parte già con una zavorra pesante (e storica), quella del debito pubblico, che si è ingigantito ancora di più in seguito alla pandemia. Per via di questa zavorra, il nostro Paese deve impegnarsi a contenere il deficit, ossia le spese annuali, ben al di sotto del 3 per cento annuo (rispetto al Pil) fissato come regola generale. Valeva per il vecchio Patto, e vale per il nuovo.
Semmai, la riforma delle norme fiscali Ue ha introdotto una serie di “attenuanti” che si possono tenere in considerazione prima di avviare la procedura. Tra questi criteri, ci sono per l’appunto il grado di difficoltà del debito pubblico, l’entità della deviazione del deficit, i progressi nell’attuazione delle riforme e degli investimenti concordati dal Paese con Bruxelles, e l’aumento della spesa pubblica per la difesa. Tutte attenuanti che, però, non cambieranno la solfa per l’Italia. La Commissione, sulla base del Def ricevuto da Roma, proporrà di aprire una procedura (molto probabilmente in estate), che passerà poi nelle mani del Consiglio, ossia l’organo che riunisce i governi dei 27 Stati membri.
Il costo dell’infrazione
Sarà il Consiglio, formalmente, a inviare all’Italia le raccomandazioni da seguire per rimettere in sesto i conti. Tali raccomandazioni contengono una serie di impegni da rispettare su riforme e investimenti. In parallelo, però, il nostro Paese dovrà anche intraprendere un “percorso correttivo della spesa netta” coerente “con un aggiustamento strutturale annuo minimo pari ad almeno lo 0,5% del Pil”. In altre parole, il governo dovrà tagliare le spese di circa 9 miliardi all’anno.
L’entità dei tagli, però, potrebbe essere meno elevata nell’immediato: nell’ambito dell’accordo sul nuovo Patto di stabilità, i governi hanno deciso che la Commissione potrà tenere conto, per un periodo transitorio (tra il 2025 e il 2027), dell’aumento dei pagamenti degli interessi sul debito. Si tratta di una concessione a chi, proprio come l’Italia, ha sottolineato che l’aumento record dei tassi di interesse deciso nel 2023 dalla Bce per contenere l’inflazione avrà un impatto non da poco sui debiti pubblici, e quindi sui conti. Bruxelles potrà dunque tenere in considerazione questo fardello e imporre tagli meno pesanti sui prossimi bilanci annuali.
Se l’Italia non dovesse rispettare le raccomandazioni dell’Ue, Commissione e Consiglio possono comminare una sanzione che può ammontare allo 0,05 per cento del Pil (poco meno di 1 miliardi di euro): questo importo dovrà essere pagato ogni sei mesi finché il nostro Paese non adotterà misure ritenute efficaci per rispettare le richieste di Bruxelles.
Le nuove regole
Paradossalmente, l’avvio della procedura d’infrazione per l’Italia è una buona notizia. Il nuovo Patto di stabilità, infatti, prevede per i Paesi come il nostro con un alto debito pubblico un percorso di aggiustamento annuale ben più sostenuto: secondo i calcoli del think tank Bruegel, i tagli alle spese per i piani di rientro in tempi normali (ossia al di fuori di procedure d’infrazione e di gravi crisi economiche) potrebbero valere tra lo 0,61 per cento del Pil e l’1,15. Ossia tra i 10 e i 20 miliardi all’anno.
Fonte: Today