L’omicidio di Giuseppina Milone, avvenuto a Corleone nei primi giorni di dicembre per mano della stessa madre, ha scioccato il Paese e acceso un intenso dibattito sia sul modo in cui la vicenda è stata raccontata, sia sulle gravi carenze di tutele e di sostegno per persone con disabilità e caregiver, riporta Attuale.
Giuseppina Milone, una donna autistica di 47 anni e non pienamente autosufficiente, viveva con i genitori. Dopo la morte del padre, Lucia Pecoraro, la madre di Milone, è diventata l’unica caregiver della figlia, che aveva sviluppato anche problematiche di deambulazione, aggravando il carico assistenziale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la madre avrebbe tolto la vita prima alla figlia e poi a se stessa, lasciando un biglietto di scuse che manifestava angoscia e disperazione, un chiaro riflesso del carico psicologico enorme vissuto.
La mancanza di supporto e tutele è un problema quotidiano di tanti
Questo caso rappresenta l’estrema espressione di un problema grande e diffuso: le persone con disabilità e i loro caregiver spesso non ricevono aiuto e supporto adeguati, creando situazioni difficili da gestire. L’attivista e scrittore Luca Trapanese, padre di una bambina disabile, ha condiviso la sua visione su Instagram, sottolineando come “la tragedia di Corleone (…) non è un episodio isolato, ma il grido di tanti genitori che vivono nella paura del ‘dopo di noi’”. Secondo Trapanese, “il sistema non funziona” perché “le decisioni su fondi e tutele sono prese da persone che non conoscono la realtà delle persone disabili”. “Serve un cambio totale di prospettiva”, ha aggiunto, esprimendo chiaramente la necessità di includere la disabilità in ogni scelta pubblica.
Trapanese ha inoltre evidenziato le paure dei caregiver di fronte all’invecchiamento e alla perdita dei familiari assistenti, affermando che “quando penso al futuro di Alba, faccio una grande fatica a immaginarlo. E questa fatica dovrebbe essere la priorità politica di un Paese intero”. Sua opinione fa emergere la necessità di un sostegno materiale e istituzionale, sottolineando che la solitudine dei caregiver può facilmente trasformarsi in disperazione.
Ciononostante, c’è una lettura che va oltre la mera assenza di servizi: si estende alla cornice culturale in cui tali tragedie si consumano. Mentre Trapanese vede un sistema legislativo inadeguato, altri attivisti del movimento disabilità lamentano una società che attribuisce un valore minore alle vite fragili e distorce la narrativa attorno a tali eventi criminali.
Il disabilicidio non è “omicidio compassionevole”
Sofia Righetti, attivista per i diritti delle persone disabili e dottoranda in pedagogia critica, ha espresso grande rabbia per l’interpretazione del caso operata dai media. Righetti evidenzia che la vittima ha perso centralità nel racconto del delitto, descritto come un “omicidio compassionevole” mentre dovrebbe essere visto per quello che è, ovvero un “crimine d’odio”. Sul proprio profilo Instagram, Righetti ha affermato: “Sono centinaia i casi di persone disabili uccise dai genitori e dai caregiver. E l’orrore è che i prossimi potremmo essere noi, con la scusa del ‘se non me ne occupo io, non se ne occupa nessuno’”.
Righetti sottolinea che “a parlare sono sempre gli altri”, mentre la prospettiva delle persone con disabilità viene invisibilizzata e il loro diritto alla vita subordinato al dolore familiare. “Questo non è un dramma familiare: è l’ennesimo capitolo di una cultura abilista che assolve gli assassini e cancella le vite disabili”, ha ribadito con forza.
Secondo Righetti, l’abilismo, ovvero il sistema di pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità, le riduce a “vittime sacrificabili” considerandole solo un peso per la società. Pertanto, è cruciale non solo discutere la mancanza di supporto, ma anche interrogarsi su come la società percepisce e rappresenta la disabilità, sul valore delle vite considerate “degne” e su quanto sia radicata l’idea che una persona disabile valga meno, destinata a una vita di dipendenza e sofferenza.