La fondazione Gimbe boccia anche la riforma convenzione-dipendenza: “Non è stata fatta alcuna valutazione del suo impatto”
A oggi mancano circa 5.500 medici di famiglia (mmg, medici di medicina generale) e in 7.300 andranno in pensione entro il 2027. I dati sono forniti dalla fondazione Gimbe che è andata anche a scovare le cause di questa carenza. Secondo la fondazione, il problema viene da lontano, e alla radice di questo deficit di personale ci sono: il taglio della spesa sanitaria pubblica destinata all’assistenza medico-generica da convenzione; la carenza di programmazione e la perdita di attrattività della professione tra i nuovi studenti. Il presidente Nino Cartabellotta ha gettato anche qualche ombra sulla proposta di riforma del governo che punta a trasformare in dipendenti i medici ora convenzionati: “Non è stata condotta alcuna valutazione di impatto che dimostri l’efficacia di questa soluzione”.
I dati sulle carenze di organico
La fondazione Gimbe è riuscita a fare solo una stima delle carenze di medici di medicina generale per regione. Al 1° gennaio 2024 il territorio più in sofferenza è la Lombardia che registra 1.525 professionisti in meno. Seguono a distanza: Veneto (-785); Campania (-652); Emilia-Romagna (-536); Piemonte (-431). La carenza non fa che scaricare il peso degli assisti sui colleghi in attività che per questo devono accettare, in deroga, numeri superiori al tetto massimo dei 1.500 pazienti. In Lombardia il 74% dei mmg ha cifre superiori al massimale. In Italia la media è di oltre un medico su due (51,7%). Per Gimbe le soluzioni di ripiego che sono state adottate in passato, l’innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni e le deroghe sull’aumento del massimale, non hanno risolto il problema alla radice.

I tre problemi secondo Gimbe
“L’allarme sulla carenza dei mmg riguarda ormai tutte le Regioni e affonda le radici in una programmazione inadeguata, che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi”, sostiene il presidente Cartabellotta. Con gli anni però il quadro sarebbe cambiato diventando più grave. Il problema sembra ora essersi spostato “sulla scarsa attrattività della professione”, spiega ancora il presidente. Che per questo lancia un monito: “Se la professione di mmg continuerà a perdere appeal, il rischio concreto è lasciare milioni di persone senza medico di famiglia”. Infatti, a testimonianza dello scarso interesse tra i giovani alla professione, ci sono i dati percentuali di partecipanti ai bandi per il corso di formazione in medicina generale su numero di borse finanziate. Il dato più alto viene dall’Abruzzo (61%), poi c’è la discesa fino ad arrivare alle Marche con il -68%. In Italia la media nazionale è del -15%.

Discorso a parte meritano i tagli. In particolare, quelli relativi alla spesa sanitaria pubblica destinata all’assistenza medico-generica da convenzione (ovvero medici di famiglia, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali). Dal 2012 al 2023 è diminuita dal 6,2% al 5,2%. Se la spesa percentuale si fosse mantenuta ai livelli del 2012, negli ultimi 11 anni il personale convenzionato non avrebbe perso 4,93 miliardi di euro, di cui 3,49 miliardi tra il 2020 e il 2023. “Questo trend riflette da un lato la progressiva riduzione del numero dei mmg in attività, dall’altro dimostra come, analogamente al personale dipendente, il sottofinanziamento del Ssn sia stato scaricato in larga misura sul personale sanitario”, spiega Cartabellotta.

Riforma bocciata
Il governo insieme alle regioni sta pensando di riformare il sistema sanitario attraverso il passaggio dei medici di medicina generale dal rapporto di convenzione a quello di dipendenza. L’obiettivo? Garantirne la presenza nelle case di comunità e negli altri servizi della asl. Cartabellotta però solleva una questione non secondaria: “Non è stata condotta alcuna valutazione di impatto che dimostri l’efficacia di questa soluzione: un’analisi approfondita dovrebbe considerare gli effetti economici, contributivi, organizzativi e professionali di una riforma di tale portata”. Per la fondazione Gimbe la riforma non può essere ridotta alla dicotomia tra dipendenza e convenzione. “Ancor più perché i diretti interessati hanno appreso della riforma solo tramite indiscrezioni di stampa, senza alcun coinvolgimento istituzionale. Un avvio nel peggiore dei modi, che la rende già un fallimento annunciato”, continua ancora il presidente. Il rischio di un flop esiste e il prezzo da pagare sarà alto. Le generazioni future dovranno saldare il debito contratto con il Pnrr e, in caso di fallimento, fare i conti con una diminuzione sistemica dell’assistenza medico-sanitaria.