Migliaia di lavoratori rischiano il posto di lavoro con la chiusura degli stabilimenti, ma tutto l’indotto teme le ripercussioni. Per i sindacati un errore di programmazione nella transizione all’auto elettrica con quote di mercato andate ai concorrenti cinesi
Iniziano gli scioperi in Germania in seguito all’annuncio del gruppo automobilistico Volkswagen di chiudere tre stabilimenti nel paese mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro: la prima mobilitazione è stata avviata dal sindacato tedesco Ig Metall nelle prime ore di oggi martedì 29 ottobre, mentre sono in corso le trattative collettive di settore. Trattative che impattano su quasi 4 milioni di lavoratori in Germania impiegati nell’industria automobilistica e nell’indotto.
Gli scioperi contro la chiusura degli stabilimenti Volkswagen
Era nell’aria da tempo, ma l’annuncio della possibile chiusura di tre stabilimenti della Volkswagen ha creato un terremoto in Germania, dove il colosso dell’automotive dà lavoro a 120mila persone, distribuite su dieci stabilimenti. La decisione ha scatenato proteste in tutto il Paese, con manifestazioni in varie località. Il sindacato chiede un aumento salariale del 7 per cento in 12 mesi, mentre i datori di lavoro hanno offerto un aumento del 3,6 per cento in due fasi in 27 mesi, con i primi aumenti nel luglio 2025. Coinvolto anche lo stabilimento Volkswagen nella città di Osnabrück, nella Germania nord-occidentale, che impiega circa 2.500 lavoratori, e che di recente ha perso una commessa sperata da Porsche. “Le linee di produzione sono ferme e gli uffici vuoti” denuncia il responsabile distrettuale dell’IG Metall Thorsten Gröger.
Il governo italiano taglia il fondo per l’automotive
In Italia intanto l’associazione che raggruppa l’intera filiera dell’automotive (Anfia) mette in evidenza come il governo nella manovra 2025 abbia tagliato gli aiuti alle imprese del settore decurtando ben 4,6 milioni di euro dal fondo dedicato alla crisi dell’auto. Il governo prova a calmare le acque, assicurando che il sostegno dell’Italia al settore proseguirà, in particolare nell’ambito della componentistica.
“L’auspicio è quello di vedere fortemente ridotto il taglio nell’iter di approvazione della manovra in Parlamento. In caso contrario, questo tragico ridimensionamento delle risorse, segnerebbe una profonda frattura nella fin qui ottima collaborazione tra la filiera ed il Governo”, ha fatto sapere l’Anfia in una nota.
Dal lato dei sindacati Fim, Fiom e Uilm esprimono “profonda preoccupazione e ferma contrarietà” per un taglio “pari all’80% delle risorse previste”. Sul tema il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha provato a stemperare la situazione garantendo: “Tutte le risorse andranno sul fronte degli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica che è la vera forza del Made in Italy”.
L’errore dell’industria: auto elettriche troppo care
Al centro del dibattito sulla crisi della Volkswagen, così come dell’intero comparto, c’è anche il discusso regolamento varato nel 2023 dall’Unione europea, che vieta la vendita di motori a combustione a partire dal 2035, imponendo di fatto un progressivo ma deciso passaggio all’elettrico.
Diversi esperti però parlano di una “crisi annunciata” con tutto il settore dell’automotive troppo lento nella transizione elettrica, colpevole altresì di scelte sbagliate in merito agli investimenti in veicoli di alta gamma che non soddisfano le esigenze del mercato europeo. Così, mentre una larga parte dei cittadini europei vorrebbe passare all’elettrico, ma a prezzi accessibili, le case automobilistiche non offrono alternative valide.
“Nel 2020, il prezzo medio di un veicolo elettrico in Europa era di circa 40mila euro (escluse tasse). Oggi è di circa 45mila euro. Un salto dell’11%”, ha scritto in un report recente Lucien Mathieu, esperto del settore automobilistico dell’organizzazione Transport & Environment.
Questo nonostante i prezzi delle batterie stiano arrivando a minimi record, scendendo del 33% dal 2020. “La realtà è molto più semplice: le case automobilistiche stanno dando priorità ai veicoli elettrici più grandi e più redditizi come parte della loro strategia di massimizzazione dei profitti, piuttosto che concentrarsi su modelli di massa a prezzi accessibili”, ha concluso Mathieu.