Due reti di Castellanos fanno tremare la Juventus. Eliminata la Lazio, l’ultimo atto di Coppa Italia il 15 maggio: vale un trofeo che manca da tre anni
Il meglio della Juve arriva nel finale: Weah pesca Milik nel cuore dell’area di casa e il polacco ringrazia. L’ultimo atto della Coppa Italia vedrà i bianconeri tornare nella Capitale a metà maggio contro Fiorentina o Atalanta – stasera il nome della rivale -, un passaggio che sa di missione compiuta, ma quanta fatica. L’incrocio dell’Olimpico ha raccontato di una Lazio vivace, ma non travolgente. Eppure i biancocelesti si sono trovati sul doppio vantaggio quasi per inerzia: troppo leggeri i bianconeri, troppo prevedibili per non concedere campo e autostima a chi gli stava davanti. Due volte Castellanos e la frittata sembrava pronta. Due volte l’attaccante argentino a sfruttare le amnesie di una difesa tutta brasiliana, poi entra Milik e la finale è cosa fatta. Massimiliano Allegri batte un colpo e aggiorna i suoi numeri: il tecnico della Juve può vincere la coppa nazionale per la quinta volta – nessuno ci è riuscito – e il 15 maggio si giocherà per la sesta occasione la finale sempre con la stessa squadra, l’unico nella storia della competizione a farlo.
Passano poco più di dieci minuti e accade quello che non deve accadere ad una squadra con mezza qualificazione in tasca: primo affondo della Lazio, gol. Castellanos sale in quota stile Osimhen, Alex Sandro è surclassato, Perin beffato: la Juve è ancora in finale, ma comincia un’altra partita dentro ad uno stadio che, improvvisamente, si accende.
Tudor sfrutta ogni rimessa laterale per dire ciò che pensa a chiunque gli capiti a tiro: siamo nella fase in cui il nuovo allenatore deve trasmettere il suo pensiero e deve farlo in fretta. Allegri osserva una squadra, la sua, che resta in piedi nonostante il colpo incassato: Vlahovic si presenta all’appuntamento per il possibile pareggio, ma centra la sagoma del giovane Mandas; Bremer, di testa, fa sobbalzare la parte bianconera dell’Olimpico. Là in mezzo il più presente è Rabiot perché Locatelli si mostra leggero e McKennie un po’ distratto. La Juve è prevedibile, ma sensibile al pericolo tranne quando Danilo scivola e Castellanos non va oltre Perin sebbene abbia la possibilità di farlo.
Il ritmo non è da ricordare, le ripartenze laziali sì perché quando Felipe Anderson accelera regala sempre la sensazione di poter sgommare fin dentro al cuore dell’area juventina. La prima metà si chiude così: verdetto in bilico, meglio la Lazio e palla al centro. La strada per la finale si trova in bilico quasi per inerzia: i ragazzi di casa si muovono con equilibrio, pazienza e qualche tocco di qualità, i bianconeri fanno fatica ad alzare il baricentro se non fosse per le sgommate – spesso a vuoto – di Chiesa e la fisicità del già citato Rabiot, abile a portare dalla sua parte i corpo a corpo a centrocampo.
Passano poco meno di cinque minuti e la seconda parte della notte romana rimette in parità la semifinale: ancora Castellanos, stavolta innescato da Luis Alberto e sul filo del fuorigioco dopo un contrasto, vinto, su Bremer. Due a zero allo Stadium, due a zero all’Olimpico: la Juve spreca una dote che avrebbe dovuto metterla al riparo da cattive sorprese. Ai bianconeri manca l’adrenalina tipica delle sfide da dentro o fuori: nelle coppe si gioca così. E il jolly di coppa ci mette poco meno di un minuto per prendersi il bottino: Milik sbuca alle spalle dell’immobile Romagnoli e fa centro. Gioca meglio la Lazio, in finale va la Juve.
Fonte: LaStampa