Privatizzazioni, il governo accelera: dopo Eni, il piano per Poste, Enel e Ferrovie

16.05.2024
Privatizzazioni, il governo accelera: dopo Eni, il piano per Poste, Enel e Ferrovie
Privatizzazioni, il governo accelera: dopo Eni, il piano per Poste, Enel e Ferrovie

Il Tesoro fa cassa con il Cane a sei zampe: venduto il 2,8% per 1,4 miliardi

Il Tesoro mette sul mercato il 2,8% del capitale di Eni, pari a 91.965.735 azioni ordinarie della società. L’operazione avviene attraverso un consorzio di banche d’affari che consente al ministero dell’Economia un incasso di quasi 1,4 miliardi di euro. Dopo il Monte dei Paschi di Siena, il governo va avanti sul programma di privatizzazioni, l’obiettivo è portare a casa 20 miliardi di euro entro il 2026. Il Mef detiene il 4,797% del capitale di Eni ma con questa vendita scende sotto il 2%. Il controllo pubblico sulla società del “cane a sei zampe” resta assicurato dalla partecipazione di Cassa depositi e prestiti che possiede il 28,503%. La partita delle privatizzazioni è fondamentale per fare cassa e dare respiro ai conti pubblici. La strategia è dismettere quote mantenendo il controllo delle partecipate. Dopo Mps ed Eni nella lista ci sono Poste, Ferrovie, Enel, Enav, Leonardo.

Da una parte le privatizzazioni, dunque, dall’altra la priorità dell’esecutivo è monitorare il buco scavato nei conti dal Superbonus. Il Tesoro è intervenuto a fine marzo con un decreto drastico che cancella la cessione del credito e lo sconto in fattura. Con queste norme il ministro Giancarlo Giorgetti spera di aver arginato gli effetti dei bonus edilizi sul debito. In più, l’emendamento votato martedì prevede la spalmatura delle detrazioni da quattro a dieci anni sui lavori di ristrutturazione e consentirà di migliorare il deficit tendenziale dello 0,1% sia nel 2025 sia nel 2026, che dunque scende rispettivamente al 3,6% e al 2,9%. Una misura in grado di ridurre l’indebitamento di 2,4 miliardi di euro.

Il governo però non ha potuto varare la terapia shock che inizialmente aveva studiato il Tesoro: allungare il rimborso dei crediti edilizi retroattivamente non solo al 1° gennaio 2024, ma per tutto il 2023. Un intervento che avrebbe messo a posto il debito per tutta la legislatura, stabilizzandolo intorno al 139%, ma che allo stesso modo avrebbe avuto delle ripercussioni pesantissime sui bilanci di banche e imprese.

Quindi, i margini di finanza pubblica per costruire la prossima manovra rimangono stretti, anche alla luce dell’aggiustamento fiscale da assicurare a Bruxelles. Dove trovare le risorse per confermare il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote che valgono 18 miliardi? Sarà tutto più chiaro quando l’esecutivo il 20 settembre invierà all’Europa il Piano fiscale strutturale di medio termine che, secondo le nuove regole della governance Ue, prenderà di fatto il posto della vecchia Nadef. Qui il Mef dovrà indicare il deficit programmatico per il 2025, omesso nel Def. Negli ultimi anni è stato proprio lo scarto tra deficit tendenziale e programmatico a finanziare la legge di bilancio. L’anno scorso, a fronte di un indebitamento tendenziale al 3,6%, Giorgetti alzò l’asticella del programmatico al 4,3% garantendosi un extradeficit di quasi 16 miliardi che andò a coprire due terzi della manovra. Ripetere questo meccanismo anche per il 2025 sarà più complicato perché è ormai finita la stagione degli scostamenti autorizzati dal Parlamento.

La via maestra per risanare i conti e fare la manovra non può che essere quella di rilanciare il Pil e andare a cercare fonti di finanziamento alternative. Aumentare le tasse è la strada più semplice e sicura, ma ha un costo politico e popolare notevole. L’emblema è la Sugar Tax che Giorgetti voleva anticipare tra due mesi ed è costata uno scontro durissimo con Forza Italia.

Il numero uno del Tesoro ha già fatto sapere ai colleghi che si aspetta un programma di tagli ai dicasteri molto ambizioso. I ministri che propongono misure di spesa, è il ragionamento fatto da Giorgetti, «devono reperire i soldi nei loro ministeri».

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