Quanto ci costa l’Unione europea (e quanto ci guadagniamo)

10.06.2024
Quanto ci costa l'Unione europea (e quanto ci guadagniamo)
Quanto ci costa l'Unione europea (e quanto ci guadagniamo)

Da sempre nel club ristretto di contributori netti del bilancio Ue, con il Pnrr l’Italia riceve molto più di quanto versa. Grazie ai soldi di Germania, Francia e Paesi Bassi. E non è detto che sia un bene

Per anni, è stato un mantra di premier e ministri ai tavoli negoziali di Bruxelles: “L’Italia merita di più, perché siamo contributori netti”. Un modo per dire che facciamo parte di quel club ristretto di Paesi, tra cui anche Germania, Francia e Olanda (ma non solo), che versano all’Unione europea più di quanto incassano. La slogan, utilizzato dagli euroscettici di casa per sostanziare le loro accuse all’Europa, sottaceva opporunisticamente i vantaggi che derivano dall’appartenenza all’Ue (e al club ristretto dei contributori netti). Ma che si voglia credere o meno a tali vantaggi, oggi le cose sono drasticamente cambiate. Lo spartiacque è stato il Covid e il successivo Recovery fund, che, grazie ai soldi dei contribuenti di tutta l’Ue (in particolare tedeschi e olandesi), ci ha trasformati d’improvviso in beneficiari netti. Ossia incassiamo dall’Ue più di quanto versiamo.

Il saldo positivo

L’inversione di tendenza è stata certificata nel 2021 dalla Corte dei conti: in quell’anno, l’Italia ha contribuito al bilancio europeo con 18,1 miliardi. Di contro, Bruxelles ha destinato al nostro Paese risorse per 26,7 miliardi, di cui 10,1 legati al Pnrr. Per la prima volta (almeno dal 2015, anno in cui parte la rilevazione dei giudici contabili) il saldo con l’Ue è, per le nostre casse, positivo: tra dare e avere, abbiamo incassato 8,6 miliardi in un solo anno. E questo guadagno è destinato ad aumentare fino al 2027, quando si chiuderà il bilancio Ue in corso (che viene negoziato ogni sette anni). 

Il merito, come dicevamo, è essenzialmento dal Next Generation EU, il fondo straordinario creato per rispondere alla pandemia di Covid-19. L’Italia, come è noto, sta ricevendo fondi che, alla fine del programma, dovrebbero raggiungere quasi 200 miliardi di euro, un terzo della torta complessiva del piano Ue. Di queste risorse, 122,6 miliardi sono sotto forma di prestiti e 71,8 miliardi in sovvenzionia fondo perduto. A oggi, stando ai dati della Commissione europea, abbiamo ricevuto circa 101 miliardi. 

Se consideriamo i flussi tra Bruxelles e Roma nell’ultimo periodo finanziario Ue completo (quello tra il 2014 e il 2020), in cui l’Italia ha registrato un saldo negativo di poco meno di 38 miliardi, si può già oggi fare una stima del netto che stiamo incassando dal 2021 e che continueremo a incassare fino al 2027: ben 156 miliardi. Una media di 25 miliardi all’anno circa, un miliardo in più del valore dell’ultima manovra finanziaria varata dal governo di Giorgia Meloni.

In altre parole, per 7 anni, non saranno le nostre tasse a finanziare le politiche per la crescita economica del nostro Paese, ma quelle dei contribuenti di tutta l’Ue. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la quota del Pnrr più grossa è composta da prestiti, che dovremo rimborsare. Ma anche togliendo dal novero questa quota, ossia basandoci sui soli sussidi a fondo perduto, il saldo per noi resta postivo, e non di poco: l’incasso, infatti, è intorno ai 34 miliardi. 

Almeno fino al 2027, dunque, l’Italia sarà un beneficiario netto del bilancio Ue. La mole di investimenti del Pnrr si è resa necessaria per aiutare il Paese dinanzi al crollo economico causato dalla pandemia e all’impossibilità di farvi fronte con le sole risorse nazionali, gravate come sono dal secondo debito pubblico più alto dell’Ue. Si è trattato di un momento storico, che il dibattito politico italiano sembra avere già dimenticato. 

I benefici del contributore netto

È chiaro che, vista così, la situazione sembra volgere in positivo per l’Italia: il Pnrr durerà fino al 2026, e questo permetterà al nostro Paese di avere più margini di investimento per rilanciare lo sviluppo senza peggiorare il debito pubblico. Ma ci sono anche dei rischi politici. Per anni, come è noto, i vari governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi hanno sventolato la bandiera dell’essere contributori netti Ue quando si trattava di negoziare sui dossier più caldi a Bruxelles. La premier Meloni non ha più quest’arma da usare.

Inoltre, c’è un legame non scritto tra quanto si versa al bilancio Ue, e quanto imprese e cittadini di un determinato Paese membro incassano con i cosiddetti benefici indiretti. I ricercatori dell’Ifo Institute hanno dato un ‘valore’ a tali benefici in uno studio del 2018, dove si calcolano i guadagni delle imprese dei vari Paesi Ue grazie all’export (favorito dal mercato unico e dagli accordi commerciali dell’Ue) e ai fondi incassati dai progetti finanziati da Bruxelles in altri Stati membri o fuori l’Ue. Nel 2017, per esempio, la Germania ha registrato un saldo negativo netto di 13,6 miliardi sul bilancio Ue, ma ne ha incassati 118 grazie all’export. La Francia ha avuto un saldo negativo di 7,4 e ne ha incassati 62. L’Italia, con 3,2 miliardi di versamento netto, avrebbe beneficiato di 40 miliardi di guadagni. 

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