295,3 milioni di persone nel 2024 hanno sofferto di acuti livelli di carestia, 13,7 milioni in più rispetto al 2023, marcando il sesto anno consecutivo di crescita numerica su questo fronte. I dati, contenuti nel rapporto annuale del Global Network Against Food Crises, riguardano in particolare 53 paesi tra i più colpiti da conflitti armati e cambiamenti climatici, individuati come i due fattori determinanti del fenomeno.
IN AFGHANISTAN, Yemen, Etiopia, Sudan, Nigeria e Repubblica democratica del Congo il numero di persone affamate supera i 15 milioni, raggiungendo percentuali molto alte come quelle del Sudan, dove il 54% della popolazione analizzata soffre di acuti livelli di fame, costituendo la «più grave crisi umanitaria al mondo» secondo le Nazioni unite. Il paese è collocato dal rapporto nel livello «catastrofe», preceduto nella classifica dalla Striscia di Gaza e seguito dal Sud Sudan. Questo stesso livello, che nel 2023 contava 705mila persone, nel 2024 ha raggiunto 1,9 milioni di unità. Dei 53 territori considerati 20 sono afflitti da guerre, 18 da condizioni atmosferiche estreme e 15 da «shock economici».
Una larga fetta del totale è composta da minori: 37,7 milioni di bambini hanno sofferto di carestia, a cui si aggiungono le 10,2 milioni di donne incinte, un terzo delle quali nella Repubblica democratica del Congo. I più colpiti sono gli sfollati forzati dai conflitti armati, che contano 95,8 milioni (12 milioni solo dal Sudan). Anche questo dato corre a crescita costante dal 2013, in maniera direttamente proporzionale allo scoppio delle guerre.
AL NETTO il 3,75% della popolazione mondiale soffre di acuta carestia, laddove circa il 50% della ricchezza globale è in mano all’1%. 56 mercati finanziari, secondo il report 2024 della banca d’investimento svizzera, detengono il 92% della ricchezza mondiale.
I paesi più colpiti dai conflitti armati, e dunque da gravi livelli di fame, sono anche quelli più ricchi di risorse (soprattutto di petrolio, di oro, e dei cosiddetti «critical minerals», utilizzati per gli apparecchi elettronici e militari): la Repubblica democratica del Congo, ad esempio, detiene l’80% del coltan mondiale.
IL REPORT stima che la crisi continuerà ad aggravarsi, soprattutto a causa dei tagli ai finanziamenti per gli aiuti umanitari, come quelli operati da Donald Trump su Usaid che hanno già causato un crollo drastico in zone come il Nord-est della Siria, il Sudan e il Sud Africa. Se si aggiungono l’impunità degli attori coinvolti nei conflitti, per cui non vengono rispettati i mandati d’arresto internazionali come nel caso del premier israeliano Netanyahu, l’incapacità di intervenire della comunità internazionale, e il dietrofront dei paesi più inquinanti sulle politiche ambientali – come gli Usa, usciti dagli accordi di Parigi il giorno d’insediamento di Trump – il prospetto non sembra migliorare.