Sanità, la grande fuga. “Ero primario, ecco cosa ho lasciato. Ho scelto la qualità della vita”

15.06.2025 03:45
Sanità, la grande fuga. “Ero primario, ecco cosa ho lasciato. Ho scelto la qualità della vita”

La Fuga dei Professionisti dalla Sanità Privata: Un Fenomeno in Crescita

Fermo, 15 giugno 2025 – Luisanna Cola, 60 anni ed ex primario in ospedale a Fermo, nelle Marche, affronta con fermezza la questione delle dimissioni nel suo settore: “Assolutamente no, non mi sono pentita”, riporta Attuale. Nel suo campo si registrano oltre tremila dimissioni ogni anno, un chiaro segnale di malessere tra i professionisti della salute.

Dottoressa Cola, che lavoro fa oggi?

“Attualmente non lavoro e non sono in cerca di un’occupazione”, afferma con convinzione.

Si parla di una grande fuga nella sanità privata.

“Oggi il lavoro nel settore privato è più vantaggioso dal punto di vista fiscale. Parliamo di medici, non di infermieri, perché le aliquote fiscali differiscono. Per noi, si applica un’aliquota del 43%, mentre il lavoro extra, ad esempio per anestesisti, è tassato al 15%, rendendo questo tipo di lavoro molto ricercato. Così, invece di guadagnare 60 euro all’ora, alcuni arrivano a guadagnare 100 euro.”

Insomma, ci sono due registri.

“Questo crea confusione: sembra che il valore di un lavoratore cambi a seconda del tipo di impiego. È scorretto e alimenta il burnout. Non è giusto che lo Stato incentivi il lavoro oltre le 38 ore settimanali, imponendo di fatto una situazione in cui chi lavora di più viene pagato di più. Dovremmo invece investire nell’assunzione di nuovo personale”.

Nel privato, invece, come funziona?

“Chi apre una partita IVA può beneficiare di una tassazione del 5% per i primi cinque anni. Dopo, si passa al 15%, ma a patto che sia una partita IVA forfettaria. Con un guadagno che può arrivare a 85mila euro, solo 68mila vengono tassati. Questo rende più proficuo lavorare nel privato, dove non si affrontano le notti e i pazienti presentano meno emergenze.”

Perché si è dimessa?

“Avevo una posizione di alto livello e prendevo decisioni importanti, ma era diventato impossibile rispondere alle esigenze dei cittadini. Spesso mi trovavo a non sapere come aiutare”, spiega.

A quanto ha rinunciato?

“Il mio stipendio netto era di circa 5mila euro al mese. Direttore del Dipartimento di emergenza e della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione, lavoravo senza orari definiti, con straordinari non retribuiti e ferie perdute, sostenendo un’enorme responsabilità”.

Com’era la sua vita lavorativa?

“Sicuramente molto intensa. Prendiamo come esempio un anestesista: guadagna in media 3.500 euro in 15 giorni di lavoro nel privato, senza dover lavorare il resto del mese. Se desidera guadagnare 7mila euro, basta che lavori per 20 giorni, senza dover affrontare sabati o notti. Se vogliamo rendere il sistema sanitario pubblico più competitivo, occorre rivedere la tassazione, che non può restare al 43% per un lavoro di valenza sociale.”

Qualcuno potrebbe pensare, ‘lei se lo può permettere’.

“Mio marito lavora e sto cercando di pianificare il futuro. Tra nove anni andrò in pensione, e tra due anni e mezzo riceverò la prima parte del TFR, il resto seguirà un anno dopo”.

Non sta cercando un lavoro, dunque?

“No, in questo momento preferisco non cercarlo. Il settore è diventato così estenuante che è meglio non lavorare. Le statistiche OCSE e il libro di Francesca Coin, “Le grandi dimissioni”, dimostrano che la motivazione economica non è l’unico fattore. I più inclini a dimettersi sono spesso quelli che non possono permetterselo e che cercano alternative”.

Qual è la parola chiave per spiegare il fenomeno delle dimissioni?

“La qualità della vita. Nel lavoro dipendente è così bassa, e il guadagno così poco stimolante, che molti scelgono di non lavorare affatto. Anche se avevo uno stipendio competitivo, questo è calcolato sulla prospettiva di una vita migliore. Per esempio, mio suocero, che era un medico di famiglia, guadagnava bene e mantenendo una visione positiva, sopportava i sacrifici. Tuttavia, a partire dal ’65, le generazioni successive hanno iniziato guadagnare meno dei loro predecessori”.

Che futuro ci aspetta?

“Ci aspetta un crollo gravissimo del mercato. Stiamo già notando un impoverimento: non si riescono a trovare medici e mancano anche lavoratori nel settore della ristorazione e del turismo. La gente preferisce restare a casa, piuttosto che lavorare per stipendi che non permettono nemmeno di coprire le bollette. Inoltre, i lavori sanitari coinvolgono per lo più donne, mentre gli uomini scappano da queste professioni. C’è un pericoloso gender gap che emerge chiaramente.”

Cosa vogliono i giovani oggi?

“Secondo l’ultimo rapporto europeo, i giovani desiderano un equilibrio tra vita lavorativa e personale e vogliono poter esprimere la loro identità. Aspirano a lavorare senza dover rinunciare a ciò che sono, sia che siano gay, con i capelli colorati, o di diversa fede religiosa. Tuttavia, in Italia, devono fare i conti con una cultura estremamente normalizzatrice”.

E per i sessantenni?

“Il mercato del lavoro non tiene conto delle diverse esigenze di lavoratori giovani e di quelli più anziani. Questo crea tensioni e disagi. L’Italia ha il più alto tasso di malessere lavorativo in Europa.”

Qual è la prospettiva per la sanità pubblica?

“Bisogna riflettere su ciò di cui abbiamo davvero bisogno, piuttosto che su ciò che vorremmo. Se gli italiani percepiscono la salute come qualcosa che si può ottenere senza sforzo – persino senza impegnarsi nella propria salute – sarà complesso gestire la cura delle malattie. Abbiamo trasformato le Aziende sanitarie in entità commerciali piuttosto che di cura. Questo ha creato una distorsione della realtà, dove il medico viene visto più come un dipendente di un’azienda piuttosto che come un caregiver.”

Pensa che il suo gesto di dimettersi sia stato compreso?

“Sicuramente non è un caso isolato. Come sempre, coloro che sono al di fuori del sistema sembrano capire meglio la situazione. L’idea che ci siano persone che possono permettersi di guadagnare 5mila euro in meno al mese è da rivedere.”

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