Tari: l’impatto dei troppi abiti usati sulla raccolta differenziata in Italia

26.10.2025 19:05
Tari: l'impatto dei troppi abiti usati sulla raccolta differenziata in Italia

Roma, 26 ottobre 2025 – Una grande quantità di abiti usati sta saturando i cassonetti in Italia, con le comunità locali che dovranno affrontare un onere economico per la gestione di questo materiale. Attualmente, il valore di mercato si aggira attorno a 100-150 euro a tonnellata, inferiore ai costi di raccolta, che si prevede ricadano sulle spalle dei cittadini attraverso la Tari. In questo scenario, sono attesi accordi tra consorzi e l’Anci, per determinare la quota che i produttori dovranno versare alle amministrazioni per compensare la differenza, riporta Attuale.

Raccolta differenziata e donazioni: facciamo chiarezza

È necessario chiarire la distinzione tra donazioni e raccolte differenziate. “Le persone ritengono che i cassonetti servano a donare, ma sono due cose molto diverse. La donazione è disciplinata dall’articolo 14 della legge contro lo spreco alimentare e deve avvenire presso le sedi delle associazioni caritatevoli. I prodotti a fine vita non sono considerati rifiuti, quindi non necessitano di autorizzazioni, evitando costi aggiuntivi. Le raccolte caritatevoli non possono essere effettuate attraverso i cassonetti; ciò che non può essere donato diventa rifiuto e deve essere gestito da aziende autorizzate”, sottolinea Andrea Fluttero, presidente di Unirau (Unione Imprese Raccolta Riuso e Riciclo Abbigliamento Usato).

Gli abiti usati e le regole europee

Fino al 2022, la raccolta degli abiti usati non era obbligatoria in Italia. Le pubbliche amministrazioni erano vincolate a raccogliere solo imballaggi, plastica, carta e vetro, mentre la raccolta di abbigliamento avveniva solo su proposta delle cooperative. Questi rifiuti tessili, comprendenti abbigliamento e calzature, vengono selezionati e igienizzati, con quelli riutilizzabili alimentare mercati secondari e venduti in paesi con potere d’acquisto inferiore. Tuttavia, circa il 50% dei materiali nei cassonetti non è riutilizzabile, comportando costi significativi per lo smaltimento, che può variare tra 250 e 300 euro a tonnellata.

Perché il meccanismo si è inceppato?

“Il mercato dell’usato non è illimitato” avverte Fluttero, evidenziando che a livello europeo si stimano 11 chili di abiti usati per abitante all’anno. La strategia europea per un tessile circolare approvata nel 2022 impone che entro il 1 gennaio 2025 tutti gli Stati membri devono istituire l’obbligo di raccolta differenziata per i rifiuti tessili. Tuttavia, la crescita della raccolta ha messo in luce un altro problema: il fast fashion ha portato a una maggiore quantità di abbigliamento di bassa qualità, rendendo difficile la gestione dell’eccesso.

Gli abiti usati e le prospettive

“La decisione di passare all’obbligo di raccolta prima di risolvere i problemi legati all’eccesso di vestiti ha creato difficoltà”, prosegue Fluttero. L’attuale situazione è destinata a peggiorare, poiché “quello che non si riesce a raccogliere finisce nell’indifferenziata”. A metà settembre, l’Unione Europea ha pubblicato la revisione della direttiva quadro sui rifiuti, prevedendo che entro un paio d’anni tutti gli Stati membri adottino normative sul regime di responsabilità estesa dei produttori. Questo comporterà che ogni azienda dovrà includere un eco contributo nel prezzo dei propri prodotti, riducendo il carico delle spese di raccolta sulle comunità locali. Con un valore di mercato attualmente in calo, la sfida resta quella di bilanciare la domanda e l’offerta nel settore dell’usato.

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