Tra compromessi e ricatti, vi spiego la fragile maggioranza di von der Leyen

28.11.2024
Tra compromessi e ricatti, vi spiego la fragile maggioranza di von der Leyen
Tra compromessi e ricatti, vi spiego la fragile maggioranza di von der Leyen

Gli eurodeputati che l’hanno votata minacciano di tradirla ad ogni passo falso. Lei però rimane l’unica leader in un’Europa che arranca

Ursula von der Leyen inizia oggi, per davvero, il suo secondo mandato alla guida dell’Unione europea. Dopo essere riuscita a ottenere il via libera per tutti e ventisette i “suoi” commissari, incluso il contestatissimo Raffaele Fitto, è stata votata da una maggioranza che spazia dai Verdi ai conservatori. Sembra la descrizione di una storia di successo politico, ma a ben guardare il nuovo governo dell’Unione europea è un colosso dai piedi d’argilla.

La leader tedesca è stata in grado di tessere le sue trame ricucendo gli strappi, accontentando governi esigenti (l’ungherese Olivér Várhelyi), rispedendo al mittente figure scomode (vedi il commissario francese Thierry Breton), accontentando le ambizioni dei singoli (Philippe Lamberts dei Verdi), difendendo senza esporsi scelte ardue (Fitto docet).

A uscirne vincitrice da questi sei mesi di contese incendiarie post-Europee è certamente lei: Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen. La maggioranza che dovrebbe sostenerla però, oltre che liquida (come scriviamo da tempo), ne è uscita lacerata. E non è chiaro a questo punto chi sosterrà di volta in volta le proposte di legge che Bruxelles, a partire dal primo dicembre, potrà ricominciare a proporre sui temi scottanti della difesa, della competitività, della transizione verde e delle migrazioni.   

Tradimenti e adesioni alla maggioranza di von der Leyen

Le dinamiche interne al Parlamento europeo hanno partorito una maggioranza frutto di compromessi, più che di complicità e chimica politica. Pur essendo un tratto storico dei governi dell’Ue, dove popolari e socialisti governano insieme per arginare gli “anti-europeisti”, stavolta l’apertura ai post-fascisti di Meloni ha creato un precedente difficile da ingoiare. Almeno per alcuni. Una trentina di voti che von der Leyen aveva ottenuto per sé stessa sono stati persi per strada. Stavolta in suo favore si sono espressi 370 europarlamentari rispetto ai 401 del voto di luglio.

Il voto di fiducia dalla Commissione von der Leyen II-2

Il capogruppo dei popolari, il deus ex machina tedesco Manfred Weber, aveva rivendicato in conferenza stampa pre-voto che questa è la “sua” maggioranza, che dai Verdi arriva fino ai conservatori dell’Ecr, tenendo dentro popolari, socialisti e liberali. Eppure anche nel suo regno (il Ppe), il gruppo politico più numeroso, dove siede anche Forza Italia, si contano delle defezioni nei confronti di von der Leyen. A tradire sono stati principalmente i popolari spagnoli, amareggiati per non essere riusciti a consumare la loro “vendetta” nei confronti della commissaria Teresa Ribera. 

I dubbi dei socialisti e la spaccatura nei verdi

La socialista Iratze Garcia Perez, la quale invece nega che i conservatori siano membri effettivi della coalizione, ha detto che il loro voto favorevole “non è un assegno in bianco”. All’interno del suo gruppo, i socialdemocratici tedeschi hanno deciso di astenersi. Il Pd di Elly Schlein invece ha optato per il sì a questa Commissione, seppur coi dubbi espressi ad esempio da Nicola Zingaretti. Rivolgendosi a von der Leyen, in merito all’accordo coi conservatori ha osservato in plenaria: “Se ha cambiato idea e cerca altre strade sarebbe corretto dirlo senza furbizie o giri di parole perché, ora, quel programma va attuato con i fatti. I nazionalisti non hanno un’idea diversa di Europa: non vogliono l’Europa unita e, anzi, nel mondo si alleano con i nemici dell’Europa”.

Anche i Verdi sono spaccati e solo poco più della metà ha sostenuto von der Leyen. Contro si sono espressi anche gli italiani Ignazio Marino, Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi. Tra i conservatori dell’Ecr, Fratelli d’Italia l’ha appoggiata, mentre i polacchi di Diritto e giustizia no. All’opposizione si è schierata in modo compatto la sinistra di The Left (col Movimento 5Stelle), i gruppi di estrema destra dei Patrioti (in cui siede la Lega) e quello dell’Europa delle nazioni sovrane. 

La nuova Commissione in un’Europa che arranca

Von der Leyen si insedia in un periodo di relativa debolezza dei governi nazionali. Pedro Sanchez, l’eccezione socialista che governa con una maggioranza risicata, ha rischiato di essere travolto (anche politicamente) dalle inondazioni di Valencia. Emmanuel Macron sopravvive con una maggioranza scheletrica affidata a Michel Barnier, ma di fatto succube dell’estrema destra di Marine Le Pen. Il debito monstre di Parigi lo tiene sotto il ricatto dell’Ue. In Germania la coalizione a semaforo tedesca di Olaf Scholz si è sgretolata in anticipo. A febbraio si attende uno scontato cambio della guardia col ritorno dei Cristiano-democratici in sella a una locomotiva da film western: va a rilento, lascia per strada i lavoratori e rischia di frenare tutta l’economia del blocco europeo.

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La nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. Foto Commissione europea

Quello più in salute, a differenza del passato, sembra essere il governo italiano guidato da Giorgia Meloni, che decide con la carota al fianco di Antonio Tajani e col bastone insieme all’alleato in agguato Matteo Salvini. La leader di Fratelli d’Italia, dopo l’astensione di luglio, ha scelto stavolta di posizionarsi al fianco di von der Leyen, anche per garantire una pacifica gestione dei miliardi del Pnrr. L’unico avversario autentico rimasto in circolazione siede a Budapest e ha l’occhio sempre rivolto a Mosca. 

Più che Viktor Orbán, la leader tedesca dovrà stare attenta a guardarsi alle spalle tra i suoi stessi alleati. Rispetto allo scorso luglio, le carte si sono già rimescolate. Il sospetto è che questa miscela magmatica proseguirà a mutare a seconda delle elezioni nazionali, dell’intensificarsi dei venti di guerra, della pressione dei migranti alle frontiere, delle lamentele sui prezzi del gas, del numero di licenziamenti nell’automotive. Se compattarli su un singolo voto è stata un’impresa ardua, tenerli insieme per cinque anni richiederà miracoli. La minaccia nucleare di Vladimir Putin, e quella dei dazi di Donald Trump, insieme alla Cina che incombe perennemente, potrebbero rivelarsi il vero collante della maggioranza fragile di von der Leyen. 

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