La chiamata ai seggi per i referendum rischiava di tradursi in un triplo salto nel vuoto.
Il vuoto delle urne, a secco in occasione degli ultimi appuntamenti referendari ma frequentate poco anche in quelli elettorali: una crescente disaffezione che ha reso nel tempo il raggiungimento del quorum sempre più difficile.
Il semivuoto di iniziativa delle opposizioni, apparentemente depressa quella sociale (soprattutto in confronto alle mobilitazioni cui si assiste in altri paesi europei), divise e disarmoniche, quando non afasiche, quelle politiche.
Il vuoto spinto del dibattito, ridotto a slogan e propaganda urlata su vecchi e nuovi media mentre il parlamento, svuotato anch’esso, procede d’inerzia nell’attesa del prossimo decreto e della prossima fiducia imposti dal governo.
Un’inversione di tendenza rispetto all’assenteismo ai seggi tuttavia non è impossibile. Perché in discussione, al di là delle diatribe sulla complessità dei quesiti o sulla loro inattualità, c’è la vita quotidiana di milioni di persone. E dal momento del deposito delle firme in Cassazione sui quattro referendum relativi al lavoro è passato quasi un anno durante il quale il governo ha periodicamente snocciolato record mirabolanti sul fronte dell’occupazione, mentre il vero record è quello del lavoro sempre più povero, un dato che nemmeno la fiction meloniana riesce a contraffare. Mentre lo stillicidio di morti sul lavoro – tema anche questo dei referendum – viene considerato quasi inesorabile.
Certo, i quesiti proposti dalla Cgil relativi al Jobs act non mirano ad abrogare norme approvate dalla destra attualmente al potere. Ma a questa stessa destra il sindacato (e non solo) chiede fin da quando si è insediata a palazzo Chigi interventi su occupazione, salari, sicurezza (non quella dei decreti, quella di chi rischia la vita sul luogo di impiego), incontrando risposte evasive o inappropriate quando non direttamente un muro.
Poi c’è la mobilitazione dei partiti. La segretaria del Pd Elly Schlein ha abbracciato prima timidamente, e poi schierandosi in modo deciso anche a fronte delle resistenze interne, la battaglia referendaria della Cgil, insieme al quesito promosso da +Europa sulla cittadinanza per gli stranieri che vivono e lavorano in Italia da 5 anni (non più 10). Così facendo la leader del Pd – si ripete da più parti – invece di fare opposizione al governo e lavorare per l’alternativa avrebbe aperto un conflitto tutto interno allo schieramento che alla costruzione di quell’alternativa dovrebbe dedicarsi.
Inutile negare che ci sia una sotto partita tutta politica tra le forze dell’attuale opposizione, ma è bene che Schlein abbia chiarito che oltre a essere testardamente unitaria intende perseverare nella linea di un Pd partito del lavoro che sterzi nettamente rispetto al passato. Una linea su cui si sono compattati i giallorossi, mentre sulla cittadinanza, anche a fronte dei tristi balletti governativi sulla pelle dei migranti, riemerge il vecchio tic pentastellato e Conte non va oltre un’adesione a titolo personale lasciando libertà di coscienza al Movimento. Questioni che in vista della tuttora futuribile (anche se più palpabile) alleanza dovranno essere messe chiaramente sul piatto.
Ma adesso il ritrovato afflato unitario può fungere da propellente per una mobilitazione verso le urne. Mentre il teatrino del tutti al mare e del vado ma non voto messo in scena dalla destra ha contribuito, insieme ovviamente alla mobilitazione capillare della Cgil, a far uscire il referendum dall’oscurità mediatica cui si sarebbe voluto relegare.
Ovviamente, premessa di tutti i ragionamenti possibili, è che c’è un merito che non può essere usato solo come un pretesto nella contesa politica. E come chiarito dallo stesso leader della Cgil Landini, il referendum potrà dirsi vinto se il quorum sarà raggiunto e i sì si imporranno sui no.
Questo vale certamente per il sindacato. Inevitabile che i partiti che sostengono l’iniziativa della Cgil ragionino anche con un altro metro: qual è, in caso di non raggiungimento del quorum, l’asticella che decreterà un buono o un cattivo risultato?
Schlein ha ripetuto in più occasioni che avendo la destra preso alle elezioni politiche 12 milioni e 300 mila voti, il superamento di questa soglia sarà «un avviso di sfratto alla presidente del consiglio». Un argomento sicuramente buono come slogan, ma debole rispetto all’analisi politica che andrà fatta a urne chiuse.
Da lunedì notte, indipendentemente da quanti saranno i voti in favore dei sì, il centrosinistra dovrà tenere conto di ciascuno di essi come base di un’agenda futura e non come ricordo di un esercizio di stile.