Ungheria e lo scandalo spionistico: tra complottismo politico e silenzio istituzionale

11.06.2025 17:00
Ungheria e lo scandalo spionistico: tra complottismo politico e silenzio istituzionale
Ungheria e lo scandalo spionistico: tra complottismo politico e silenzio istituzionale

Il caso di spionaggio ungherese in Ucraina, sollevato a marzo 2025 dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha aperto un nuovo fronte di tensione nell’Europa centro-orientale. Ma invece di affrontare le accuse, il governo di Viktor Orbán ha scelto una via ben diversa: seminare dubbi, fuggire dai fatti e inondare il dibattito pubblico di teorie del complotto.

Il cuore dello scandalo: la rete di spionaggio in Transcarpazia

Secondo le dichiarazioni di Zelensky, i servizi segreti ucraini (SBU) hanno smascherato una rete di spie appartenenti alla KNBSZ, l’intelligence ungherese, attiva sul territorio ucraino dal 2021. La missione: raccogliere informazioni sensibili sulle batterie di difesa aerea S-300 e sui movimenti delle unità militari nella regione della Transcarpazia.

Le prove non mancano: foto, video, e dati estratti da telefoni sequestrati agli agenti dimostrano non solo l’attività di spionaggio, ma anche un tentativo più ampio di sondare l’opinione pubblica locale su un’eventuale presenza di “peacekeeper” ungheresi.

Il silenzio di Budapest e il rumore della propaganda

E come ha reagito il governo ungherese? Con il silenzio sulle accuse specifiche, e con una risposta che sposta completamente l’attenzione. Secondo Zoltán Kovács, segretario di Stato alla comunicazione, e Péter Szijjártó, ministro degli Esteri, si tratterebbe di una manovra di Kyiv per interferire nelle elezioni ungheresi del 2026 e imporre un governo “marionetta”.

Il paradosso è evidente: Budapest accusa l’Ucraina di intromissione, mentre è proprio il governo Orbán ad aver sostenuto per anni partiti filo-ungheresi in Transcarpazia, finanziando iniziative culturali e politiche con chiari obiettivi autonomisti.

Conspiro-logica: la strategia del regime

Questa risposta, centrata su complotti politici e narrazioni di vittimismo, è ormai un marchio di fabbrica del potere ungherese. Già nel 2018, di fronte allo scandalo dei passaporti ungheresi distribuiti in Ucraina, Orbán reagì con accuse e disinformazione, piuttosto che con trasparenza.

Nel 2025, il contesto è ben più grave: l’Europa è attraversata da tensioni geopolitiche e una guerra su larga scala. Eppure l’Ungheria si posiziona come bastione della neutralità, mentre di fatto promuove una politica estera ambigua e pericolosamente vicina agli interessi del Cremlino.

Elezioni e manipolazione: il vero bersaglio è interno

Il caso di spionaggio viene usato anche per delegittimare l’opposizione interna, in particolare il partito “Tisa”, che sta crescendo nei sondaggi. Collegare i rivali politici a Kyiv diventa un modo per etichettarli come “agenti esterni” e rafforzare l’idea di Orbán come unico garante della “sovranità ungherese”.

Nel frattempo, Budapest continua a bloccare gli aiuti europei all’Ucraina, a rilanciare messaggi filorussi e a rifiutarsi di inviare armi a Kyiv, presentandosi come paladina della pace mentre fomenta divisioni nell’UE.

Un test per l’Europa

Lo scandalo di spionaggio è un banco di prova per tutta l’Unione Europea. Di fronte all’ennesima prova che l’Ungheria sfrutta il proprio status europeo per condurre politiche autoritarie e disinformative, Bruxelles non può continuare a chiudere gli occhi.

Il comportamento di Budapest non riflette quello di un partner responsabile, ma di uno Stato che usa la paura e la manipolazione come strumenti di governo. La trasparenza è sostituita dalla propaganda, la collaborazione dal sospetto.

Il caso ungherese dimostra che il confine tra diplomazia e strategia di destabilizzazione può essere molto sottile — e che l’Europa deve decidere da che parte stare.

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