Dei due milioni di ucraini che vi abitavano, uno se n’è andato: “Cerchiamo solo di vivere la nostra vita e di non piangere tutto il tempo”. Chi è rimasto convive con gli allarmi ma in tanti disinstallano le app con i messaggi di allerta, anche se il fronte è lontano solo quindici chilometri
Giusto pochi mesi fa, per non parlare poi dell’anno scorso, la stazione ferroviaria di Kharkiv, in Ucraina, era tutto un brulicare di persone, di piccoli commercianti, alcuni improvvisati, che accoglievano i tanti che ogni giorno la attraversano. Soprattutto all’arrivo del treno notturno proveniente da Kiev, che parte dalla stazione centrale della capitale verso le 22 e giunge proprio a quella di Kharkiv alle 5 e 15 del mattino, si sono sempre viste sia la stazione che la grande piazza antistante colme di gente. Tanto che si faceva fatica a passare. E una volta conquistato lo spazio fuori dalla folla della piazza bisognava con pazienza aspettare che si liberasse un taxi.
In stazione lo scenario è desolante
A inizio giugno 2024 la situazione è completamente cambiata e lo scenario è invece davvero desolante. Non c’è nessuno, chi è sceso ha raggiunto rapidamente chi lo stava aspettando e in pochi minuti non c’è più nessuno. Si combatte attorno a Kharkiv, la città viene bombardata quotidianamente. E ci sono morti. Certo che l’aria è cambiata. La città inoltre è ancora scossa dalla strage del centro commerciale, dove hanno perso la vita 20 persone e altre 40 sono rimaste ferite. Appesi ai pochi lampioni fiori e ricordi delle persone che non ci sono più. C’è anche qualche orsacchiotto, a confermare che tra i deceduti ci sono anche minori.
Nel piazzale non ci sono auto ma si muovono piccoli carrelli e qualche camion. Vengono riempiti di materiale da smaltire. Ferro soprattutto. C’è n’è accatastato in quantità ma la è ancora dentro quello che era un enorme supermercato. Ci vorrà di certo tempo per smaltire tutto anche se gli ucraini tendono a fare rapidamente questo tipo di operazioni. C’è ancora odore di bruciato se ci si avvicina fino al limite consentito. E’ successo di sabato il massacro, il luogo era assolutamente affollato.
Vita quotidiana sotto le bombe
Come si fa a vivere cosi si finisce per chiederlo ai pochi che si incontrano per strada o nei locali, che rimangono comunque aperti. Dei due milioni di persone che abitavano Kharkiv uno se n’è andato, l’altro che è rimasto convive ogni giorno con gli allarmi che sono continui, non frequenti. Continui. Un giovane che gestisce un negozio dove si riparano smartphone e computer scherza sul fatto che si potrebbe rimanere chiusi dentro. Al ristorante viene istintivo chiedere se è aperto, non se c’è un tavolo disponibile, perché non si vede nessuno. Eppure non chiudono. I bombardamenti non hanno risparmiato neppure locali, caffè e ristoranti. Tra gli esercizi commerciali aperti anche Mc Donald’s e KFC che da poco hanno aperto i battenti anche da queste parti come ormai in tutte le città dell’Ucraina.
Ma Kharkiv non è solo il centro città e le persone, quelle che sono rimaste, cercano di continuare a fare la loro vita. Come portare i figli a scuola o a fare attività sportiva, che sono ovviamente molto ridotte ma non sono sparite del tutto. Soprattutto se si tratta di adolescenti o più piccoli. Gli allarmi sono continui, lo sottolineiamo ancora, questo porta però chi vive qui a interpretarli in maniera diversa e di conseguenza non sempre si vedono fuggire le persone e scappare nei bunker o nei luoghi destinati alla sicurezza dei cittadini in caso di attacco.
“Cerchiamo solo di vivere la nostra vita e di non piangere tutto il tempo”
Da qualche mese anche se non si ha installato il sistema di allerta telefonico, un’apposita app per lo smartphone, ugualmente il telefono comincia a squillare e appare un messaggio di allerta. Il motivo per il quale molte persone hanno scelto di disattivare la app dal telefono certo è per l’ansia che vivere così comporta, ma anche perché si ritrovavano con lo smartphone che funzionava male.
“Ormai lo sanno tutti che è per quello che non vanno le mappe e altre applicazioni. Le persone venivano qui con i loro telefoni pensando si fossero guastati, invece è per la guerra”. Ci dice proprio così il ragazzo del negozio che ripara smartphone. Non lontano dal suo negozio c’è una donna che sta scambiando due chiacchiere con un operaio seduto su una sedia e che fissando un palazzo ridotto in macerie dove stanno montando le impalcature per ricostruirlo. In Ucraina si fa così, se viene distrutto o danneggiato un posto si cerca, se si può, di intervenire al più presto. Questo per una serie di motivi non solo pratici ma anche per dare un segnale sia internamente che fuori.
Da poco è risuonato un allarme, che però sembra rientrato. Anche lei ci dice che non le fa più effetto sentirli: “Cerchiamo solo di vivere la nostra vita e di non piangere tutto il tempo. Perché c’è un allarme ogni momento, quindi finiremmo per non fare altro tutto il giorno, come accadeva i primi tempi”. Ora paradossalmente la situazione è addirittura peggiorata, soprattutto nell’Oblast di Kharkiv. Le chiediamo se c’è un posto più sicuro di un altro, o al contrario se c’è n’è uno che lo è meno. Sappiamo bene che la “linea zero”, il fronte dove si combatte, è vicinissimo alla città, una quindicina di km, ma in questo momento sono più i razzi e i missili che piovono ogni giorno sulla testa di chi è rimasto a Kharkiv che la presenza dei soldati: “Lo avete visto con i vostri occhi e lo state vedendo anche adesso”, dice indicando le macerie dietro di lei, per poi aggiungere: “No, non c’è un posto sicuro, a Kharkiv”.