Vincitori e vinti della guerra in Siria

09.12.2024
Vincitori e vinti della guerra in Siria
Vincitori e vinti della guerra in Siria

I ribelli jihadisti, la Turchia e gli ex prigionieri festeggiano la caduta di Assad. Iran e Russia si ritrovano prive del loro alleato, ma i pericoli maggiori sono però per i ribelli curdi

Con un’operazione lampo gli jihadisti del gruppo Hayat Tahrir al Sham (Hts) hanno preso Damasco e spodestato il  presidente Bashar al-Assad. I ribelli, dopo aver conquistato Aleppo, Hama e Homs, sono entrati nella capitale siriana, al culmine di un’offensiva che quasi non ha incontrato resistenza da parte dell’esercito regolare siriano.

Assad intanto aveva già abbandonato il Paese per rifugiarsi in Russia, dove Vladimir Putin gli ha concesso asilo politico. La Siria resta al centro di molteplici interessi e influenze in termini geopolitici. Vediamo insieme quali risultano essere i vincitori e i vinti dopo l’esito, per molti inatteso, della fine di questo lunghissimo conflitto che andava avanti dal 2011. 

Chi sono i vincitori della guerra in Siria

Dopo 13 anni il popolo siriano vede concludere il conflitto iniziato sull’onda della Primavera araba con la cacciata di Bashar Al Assad e della sua famiglia. Il dittatore, che ha fatto ricorso a censure, torture e massacri pur di restare al potere, è fuggito alla corte del suo sostenitore Vladimir Putin. In Siria in questi anni sono morte centinaia di migliaia di persone, calcolate tra 470mila e 600mila. Si tratta del secondo conflitto più mortale del XXI secolo dopo la seconda guerra del Congo. Ci sono poi oltre 13 milioni di siriani sfollati a causa del conflitto. Tra questi oltre 6 milioni sono fuggiti all’estero.

Se non è chiaro il futuro né l’assetto del Paese dopo la vittoria da parte del gruppo jihadista che ha liberato il Paese, la caduta del regime fa comunque tirare un sospiro di sollievo a larga parte del popolo siriano, stremato dai decenni al potere di Assad. I primi a festeggiare della sua caduta sono le migliaia di prigionieri che erano ancora rinchiusi nelle prigioni. È il caso ad esempio di Ragheed Tatari, il prigioniero più longevo della Siria che è stato liberato l’8 dicembre dopo 43 anni di carcere. Era stato rinchiuso nel 1981 quando al potere c’era ancora Hafez Assad, padre di Bashar.

Il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS)

La principale fazione dell’insurrezione è stata guidata alla vittoria da Abu Mohammed al-Jolan. Il leader ha militato a lungo nei gruppi jihadisti, essendo stato un alleato del defunto Abu Bakr al-Baghdadi, leader del gruppo dello Stato islamico (IS). Alla fine del loro percorso sono diventati rivali e acerrimi nemici, per cui HTS si è staccato da al-Qaida, ma gli Stati Uniti continuano a considerarlo un gruppo terroristico.

Dopo la separazione, Al-Jolani si è impegnato a rilanciare il suo gruppo come una forza politica di stampo nazionalista, adottando anche un atteggiamento di conciliazione nei confronti delle minoranze religiose della Siria, come i cristiani e i drusi, promettendo loro di garantire la loro sicurezza in questo nuovo corso. Le radici estremiste dell’Hts restano il grande punto interrogativo intorno alla figura di al-Jolani, che si è detto pronto a ricostruire una Siria unita e disponibile al dialogo, ma pur sempre forte di circa 30mila miliziani pronti a combattere in nome di Allah. 

La Turchia di Erdogan 

Nell’ombra del conflitto ha lavorato in tutti questi anni Recep Tayyip Erdoğan. Il presidente turco sin dal 2011 aveva deciso di appoggiare i gruppi ribelli, in contrasto col rivale iraniano, che aveva invece deciso di sostenere Assad. Ankara ha continuato a foraggiare i gruppi armati islamisti di opposizione, diventati così dominanti rispetto alle fazioni moderate e pro-laiche che pure si erano ribellate al regime. Grazie alla vittoria di al-Jolani e alla caduta di Assad, Erdoğan segna un altro punto tra i suoi obiettivi strategici. In particolare, la vittoria dei jihadisti assicura un arretramento dei separatisti curdi nella Siria nord-orientale, connessi con i separatisti curdi della Turchia. Poi c’è la dimensione degli affari. La necessaria ricostruzione del Paese aiuterà le aziende turche, che saranno indispensabili per rimettere in sesto un Paese distrutto.

Israele

Secondo il New York Times, Israele opera segretamente in Siria da anni. Fonti anonime israeliane citate dal giornale statunitense hanno affermato che durante il fine settimana che ha visto trionfare i jihadisti, le forze di terra dell’Idf hanno attraversato la zona demilitarizzata al confine tra Israele e Siria entrando per la prima volta nel Paese dai tempi della guerra dello Yom Kippur (1973). Adesso le forze di Tel-Aviv controllerebbero la cima del Monte Hermon, sul lato siriano del confine, insieme ad altre località reputate fondamentali per stabilizzare il controllo dell’area. Benjamin Netanyahu ha affermando che la caduta del dittatore siriano “è il risultato diretto della nostra azione energica contro Hezbollah e l’Iran, i principali sostenitori di Assad. Ha innescato una reazione a catena di tutti coloro che vogliono liberarsi da questa tirannia e dalla sua oppressione”. Ciò nonostante l’ascesa dei ribelli jihadisti non può far dormire sogni tranquilli agli israeliani. 

Chi ha perso dalla caduta di Assad

Teheran ha accusato proprio Israele di aver architettato la cacciata di Assad. Secondo il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi la vittoria dei ribelli jihadisti è un “complotto del regime israeliano per destabilizzare la regione”. A prescindere dalle insinuazioni, il regime iraniano ha tenuto in piedi per tutti questi anni Assad. Nel 2015 le milizie sciite, guidate da Teheran, avevano permesso al dittatore di riconquistare Aleppo, all’epoca finita in mano agli insorti per circa quattro anni. Ora che Assad è fuggito a Mosca, l’Iran si ritrova privo di un appoggio regionale fondamentale nella gigantesca crisi in Medio oriente. 

Vladimir Putin 

Insieme all’Iran, la Russia è stata il principale sponsor di Assad per oltre un decennio, fornendo in passato un supporto militare fondamentale per l’arretramento delle forze ribelli. Vladimir Putin stavolta ha deciso di non intervenire in suo soccorso. Troppi gli impegni militari sul fronte ucraino. Senza il suo alleato in Siria, Mosca si ritrova priva di un riferimento amico in Medio oriente. Intanto il Cremlino ha deciso di accogliere il dittatore in fuga “per ragioni umanitarie”.  

I curdi della Siria

Nel nord-est della Siria, gli autonomisti curdi hanno goduto di una sorta di semi-autonomia da Assad. L’arrivo degli islamisti a Damasco difficilmente garantirà la stessa zona di “comfort” alla popolazione turca, soprattutto a causa dei legami con la Turchia. Lo sviluppo politico della Siria è un rebus e le ipotesi di un modello Libano o di quello della Libia, fanno temere il peggio. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, che intende defilarsi totalmente dalla regione, fa temere il peggio ai militanti curdi dell’Unità di protezione popolare (Ypg), che potrebbero presto ritrovarsi sotto l’attacco delle forze armate turche.  

Lascia un commento

Your email address will not be published.