Вот почему вот-вот начнется вторая фаза войны на Украине

28.05.2024
Ecco perché sta per iniziare la fase due della guerra in Ucraina
Ecco perché sta per iniziare la fase due della guerra in Ucraina

Nella Nato si discute un piano da 100 miliardi di finanziamenti militari per Kiev, ma vanno chiariti i criteri di contribuzione. Gran parte degli Stati (non l’Italia) promette di togliere le restrizioni all’uso delle armi

Eliminare le restrizioni all’uso delle armi fornite all’Ucraina, che potrebbero essere utilizzate anche per colpire obiettivi militari sul territorio russo, e un piano da 100 miliardi destinati a Kiev dalla Nato. Sono questi i due punti salienti che gli alleati atlantici del presidente ucraino Volodomyr Zelensky stanno discutendo e che potrebbero mutare completamente lo scenario della guerra scatenata da Mosca. A dare un’accelerazione al primo punto ha provveduto oggi anche Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. Dei fondi da versare nelle casse di Kiev in termini di armamenti si discuterà invece il 31 maggio a Praga durante una decisiva riunione della Nato. Con più mezzi e da utilizzare liberamente o comunque con meno vincoli, l’esercito ucraino potrebbe rispondere più efficacemente all’invasione russa. Al contempo però questo potrebbe significare un’escalation tale da risucchiare i membri della Nato in un conflitto sempre più aperto col presidente russo Vladimir Putin. 

L’apertura di Borrell sulle armi

“Secondo la legge della guerra, non c’è contraddizione nel combattere contro chi mi combatte. Va considerato il rischio di escalation ma va bilanciato con la necessità degli ucraini di difendersi”, ha detto la mattina del 28 maggio Josep Borrell a margine del Consiglio Affari Difesa in corso a Bruxelles. “Così è una situazione asimmetrica, con gli attacchi a Kiev che arrivano dal territorio russo”, ha precisato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera. L’idea era stata avanzata da Jens Stoltenberg durante un’intervista all’Economist della scorsa settimana e sta ottenendo progressivamente sempre più consensi. Ventiquattro membri della Nato si sono già impegnati a non accettare più restrizioni sull’uso delle armi occidentali contro obiettivi legittimi sul territorio russo, come emerso il 27 maggio da una riunione in Bulgaria.

Cambio di rotta per aiutare l’Ucraina in difficoltà

Nella dichiarazione diffusa, 24 dei 32 Stati membri si sono impegnati a fornire all’Ucraina tutto il possibile “in nome della democrazia”. Tra coloro che si sono sottratti all’impegno figura l’Italia, con Tajani che ha risposto piccato a Stoltenberg. “È giunto il momento di riconsiderare le restrizioni sull’uso delle armi occidentali per scopi militari in Russia”, ha ribadito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in un briefing a latere della riunione in Bulgaria. Capofila della decisione è stato il Regno Unito, che agli inizi di maggio ha eliminato le limitazioni all’uso dell’equipaggiamento fornito agli ucraini. Il cambio di rotta è stato determinato dalla consapevolezza che Kiev sta subendo numerose perdite, senza riuscire a riconquistare i territori in mano all’esercito russo e con Kharkiv sotto attacco da settimane. Un arretramento totale, che sta facendo temere il peggio. “Dobbiamo ammettere che l’Ucraina sta perdendo questa guerra in questo momento. Non possiamo continuare a dire all’Ucraina di non lanciare i suoi missili contro la Russia, che sta felicemente sparando i suoi missili a Kiev”, ha messo in luce il rappresentante della Gran Bretagna, secondo quanto riferito dall’Agenzia Telegrafica bulgara.

Lotta asimmetrica 

L’Alleanza atlantica è stata sin da subito decisiva nel supportare Kiev contro le operazioni del Cremlino ma il gap tra le forze militari russe e quelle ucraine resta importante e finora decisivo per le sorti dei combattimenti. Con l’impegno assunto da 24 dei suoi membri, la Nato incrementa il proprio ruolo nel conflitto e nell’assistenza militare all’Ucraina. Ulteriori sviluppi arriveranno dal vertice Nato, fissato a Washington a luglio, durante il quale si discuterà sia del percorso di adesione dell’Ucraina alla Nato, sia della difesa aerea, sulla quale da tempo Zelensky richiama l’attenzione degli alleati. Durante l’Assemblea parlamentare a Sofia, un’altra raccomandazione adottata riguarda la creazione di un “centro per la resilienza democratica” presso il quartier generale della Nato a Bruxelles. L’obiettivo è la lotta alla disinformazione e la salvaguardia dei “valori democratici” condivisi dai membri. A preoccupare in particolare è il sostegno da parte del regime iraniano e “le politiche coercitive della Repubblica popolare cinese”, che “pongono molteplici sfide sistemiche agli interessi e alla sicurezza e ai valori euro-atlantici”. Sabotaggi, interferenze informatiche ed elettroniche, campagne di disinformazione sono anche loro in cima alle preoccupazioni dei partecipanti al forum.

Cosa prevede il piano da 100 miliardi per Kiev

Cadrà a luglio invece la data decisiva per il via libera ad un fondo di 100 miliardi di euro destinati a sostenere le consegne militari in Ucraina. A questo punto è associato anche lo spostamento del coordinamento del sostegno militare occidentale sotto l’ombrello della Nato, che finora è rimasto invece attribuito al “Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (Ukraine Defense Contact Group), noto anche come gruppo Ramstein, creato sotto l’amministrazione Biden. Vari capi di governo hanno chiesto di evitare il termine “missione”, che potrebbe far presumere un’operazione sul campo delle forze Nato in Ucraina. Le perplessità maggiori si riferiscono inoltre alla reperibilità dei fondi. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ha presentato l’iniziativa come una forma di “garanzia” per Kiev, affinché il sostegno all’Ucraina non sia soggetta ai mutamenti politici in atto, con Stati Uniti ed Unione europea alle porte di elezioni che potrebbero mutare lo scenario politico globale. In particolare, nell’Ue si temono le ritrosie di Ungheria, Bulgaria e Slovacchia nel loro sostegno a Kiev. Ancora più radicale sarebbe il mutamento se Donald Trump dovesse riconquistare la Casa Bianca. A rischio ci sarebbe la fornitura di armi e di altre attrezzature di difesa.

I dubbi sui contributi

L’appuntamento di Praga potrebbe essere decisivo per definire il perimetro del piano, sia a livello strategico che finanziario, in vista del vertice di luglio. Tra i punti da chiarire c’è il calcolo con cui si dovrà stabilire il contributo di ciascuno Stato, se sarà basato sul Prodotto interno lordo o sulla base dei contributi già versati al bilancio della Nato. Col criterio del Pil, il contributo degli Stati Uniti risulterebbe di gran lunga maggiore rispetto a Germania e Francia. Seguendo invece il criterio del contributo ai costi della Nato, Washington e Berlino sarebbero più allineate, dietro si piazzerebbero Regno Unito e Francia. Secondo il portale di informazione Euractiv, un’altra ipotesi al vaglio supportata dall’Estonia è quella di un contributo sulla base di una percentuale fissa (lo 0,25% del Pil) da parte di ogni membro dell’Alleanza. Resta anche da stabilire la durata di questo finanziamento, se l’Alleanza potrà occuparsi dell’addestramento delle forze armate ucraine e quali saranno le attrezzature che potranno essere pagate con questo speciale fondo. Un dettaglio da non sottovalutare, visto che finora per evitare di essere trascinati in un conflitto diretto con la Russia, gli alleati hanno evitato di fornire all’Ucraina armi capaci di un sostegno letale diretto contro Mosca. Dallo scoppio della guerra i tempi sono però mutati e le reticenze dei governi iniziano a vacillare. 

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