Australia vieta l’accesso ai social media per under 16: una soluzione troppo semplice per un problema complesso

17.12.2025 11:55
Australia vieta l'accesso ai social media per under 16: una soluzione troppo semplice per un problema complesso

Pochi giorni fa, l’Australia ha reso legge un divieto che punta a fare scuola in tutto il mondo. Non sarà più possibile accedere ai social network per i minori di 16 anni. La decisione, entrata in vigore il 10 dicembre, è stata presa dall’esecutivo laburista in carica con l’obiettivo di salvaguardare la salute mentale degli adolescenti. Sul telefono di migliaia di ragazzi e ragazze, allo scoccare della mezzanotte, il divieto è diventato effettivo e i loro profili Instagram sono stati rimossi con un semplice messaggio: “A causa delle leggi in vigore in Australia, non potrai usare i social finché non avrai compiuto 16 anni”, riporta Attuale.

Ma quali sono le conseguenze di una scelta così radicale? Secondo Graziana Orefice, psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale che collabora con UnoBravo, “la decisione dell’Australia intercetta una paura collettiva sempre più evidente: che l’ambiente digitale stia chiedendo ai più giovani un prezzo emotivo troppo alto”. Una decisione, dunque, che mira a ridurre “ansia, iperconfronto, esposizione precoce al giudizio e alla logica del consenso. Dinamiche che possono interferire, in età evolutiva, con la costruzione dell’identità e con la regolazione delle emozioni”.

Uno sguardo clinico sul divieto

Dal punto di vista clinico, però, il nodo non è l’esistenza dei social, “ma l’illusione che un divieto possa sostituire un lavoro educativo. Il digitale funziona spesso come una maschera relazionale: protegge dall’imbarazzo, dall’attesa, dal rischio dell’incontro. Una maschera che non va strappata, ma educata. Escludere rigidamente rischia di produrre marginalità, aggiramento delle regole e uno spostamento verso spazi meno protetti e meno monitorabili.

Secondo Graziana Orefice, dunque, la decisione del governo australiano rischia di risultare una soluzione decisamente troppo semplice per un problema ben più complesso: “Il vero tema, dunque, non è ‘se’ bambini e adolescenti entrano in contatto con il digitale, ma ‘come’”.

La necessità di “educare al digitale”

Più che una questione di età anagrafica, dunque, il tema è quello di come accompagnare i più giovani nell’utilizzo del digitale: “La vulnerabilità non dipende solo dall’età – afferma Orefice – ma dalla qualità dell’accompagnamento adulto e dell’educazione digitale. Senza questo, il confine imposto rischia di spostare il problema altrove, non di risolverlo. La crescita emotiva passa dalla capacità di tollerare il limite, di restare nell’esperienza emotiva senza anestetizzarla”.

Il rischio, dunque, è quello di un sollievo immediato ma superficiale: “I social, per loro struttura, promettono gratificazione immediata e consenso rapido, ma la regolazione emotiva non si apprende per sottrazione. Nasce nella relazione, attraverso esperienze ripetute di accompagnamento e contenimento, come mostrano i principali modelli clinici contemporanei. Educare al digitale non significa dire solo ‘no’, né esporre senza protezione. Significa accompagnare, dare senso, offrire confini e strumenti. Perché l’autoregolazione non si impone per legge: si costruisce nella relazione.”

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