Migranti in Albania, il governo sfida la legge e riprende i trasferimenti

06.11.2024
Migranti in Albania, il governo sfida la legge e riprende i trasferimenti
Migranti in Albania, il governo sfida la legge e riprende i trasferimenti

Continua il braccio di ferro tra l’esecutivo e i giudici, che continuano ad appellarsi alla sentenza della Corte di Giustizia Ue. Intanto, la nave Libra della Marina Militare raccoglie altri migranti

Continua il braccio di ferro tra il governo Meloni e la magistratura, sia a livello nazionale che comunitario, con la Corte di Giustizia Europea che nelle prossime settimane sarà chiamata a esprimersi sul decreto “Paesi Sicuri”, varato in fretta e furia dall’esecutivo per provare a “blindare” il trasferimento di alcuni migranti in Albania, nei centri costruiti a caro prezzo dall’altra parte dell’Adriatico e che al momento non ospitano nessuno, se non gli addetti alla sicurezza. Nelle ore in cui alcuni migranti sono stati raccolti a sud di Lampedusa dalla nave Libra della Marina Militare per essere trasferiti verso l’Albania, i tribunali di Roma e di Catania piantano nuovi paletti che potrebbero inficiare l’operato dell’esecutivo.

Perché gli accordi con Tirana non partono

Giorgia Meloni sta cercando in tutti i modi di scongiurare il flop degli accordi con Tirana, un flop che potrebbe costare all’Italia circa un miliardo di euro. Per farlo, ha provato a imporre per legge la lista dei Paesi considerati sicuri dall’Italia, ma non è scontato che l’estremo tentativo vada a buon fine, anzi è abbastanza improbabile. Sul cosiddetto “modello Albania” pesano anche gli esposti alla Corte dei Conti presentati da Italia Viva e Movimento 5 Stelle, che accusano il governo di aver procurato un danno erariale per gli oltre 250 mila euro che lo Stato ha dovuto sborsare per i viaggi di andata e ritorno dei primi 14 migranti inizialmente spediti in Albania e che su ordine dei magistrati sono dovuti rientrare in Italia.

Un primo stop è arrivato oggi dal Tribunale di Catania, con un provvedimento con cui non ha convalidato il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di un migrante arrivato dall’Egitto, che a Pozzallo ha chiesto lo status di rifugiato. “Una lista di Paesi sicuri – si legge nel documento –  non esime il giudice all’obbligo di una verifica della compatibilità di tale designazione con il diritto dell’Unione europea. E in Egitto ci sono gravi violazioni dei diritti umani che “investono le libertà di un ordinamento democratico. “È la prima pronuncia di questo tipo dopo il decreto legge sui paesi sicuri”, ha commentato la legale del migrante, l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro.

Un altro stop è arrivato dal Tribunale di Roma, che ha accolto il ricorso di uno dei primi 12 migranti che erano stati trasferiti in Albania: l’uomo si era opposto alla decisione territoriale che gli aveva negato l’asilo: anche il suo caso andrà al vaglio della Corte di Giustizia Ue.

La Corte Ue chiamata a esprimersi sul decreto Paesi Sicuri

La decisione dei giudici catanesi e romani è in linea con l’iniziativa dei colleghi della sezione immigrazione del Tribunale Bologna, che contestando il decreto del governo in sede di Corte di Giustizia Ue, hanno spiegato che la protezione internazionale deve essere assicurata a tutte le persone provenienti da Paesi in cui sono discriminati perché appartengono alla comunità Lgbtqi+, sono vittime di violenza di genere, fanno parte di minoranze etniche e religiose o sono sfollati climatici. Furioso il vicepremier Matteo Salvini: “Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi – scrive in una nota – il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo”. 

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