Far crollare il prezzo del petrolio per lasciare Putin senza soldi per la guerra: cosa ha in mente Trump

29.11.2024
Far crollare il prezzo del petrolio per lasciare Putin senza soldi per la guerra: cosa ha in mente Trump
Far crollare il prezzo del petrolio per lasciare Putin senza soldi per la guerra: cosa ha in mente Trump

Un aumento dell’estrazione e della commercializzazione di petrolio da parte degli Stati Uniti determina un calo dei prezzi globali. Ed è esattamente quello che non desidera Putin

L’Opec+ è alle prese con una missione impossibile. Il gruppo che raccoglie l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio e i suoi partner “esterni”, guidato da Arabia Saudita e Russia, ha posticipato a giovedì 5 dicembre la sua riunione ministeriale inizialmente prevista per domenica 1° dicembre poiché alcuni ministri dei 22 paesi membri “parteciperanno al 45esimo vertice del Golfo a Kuwait City”. Questa, almeno, è la spiegazione ufficiale. Ma quello che aleggia nei corridoi della sede di Vienna del gruppo petrolifero è preoccupazione, alimentata dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump e dalla guerra in Ucraina. 

Quale sarà la strategia del gruppo in materia di produzione 

Gli occhi sono tutti puntati sull’appuntamento del prossimo 5 dicembre – che si terrà in videoconferenza – per valutare quale sarà la strategia del gruppo in materia di produzione. Prima dell’annuncio del rinvio, il mercato scommetteva su una proroga dei tagli di due o tre mesi. Per evitare un crollo dei prezzi, otto paesi membri, tra cui l’Arabia Saudita e la Russia, hanno già dovuto rinviare la reintroduzione sul mercato di 2,2 milioni di barili aggiuntivi rispetto alle quote già concordate.

All’inizio del mese, otto paesi membri dell’Opec+ hanno annunciato un’estensione dei tagli volontari alla produzione di petrolio di un mese, fino alla fine di dicembre, mentre i prezzi del petrolio sono generalmente scesi nelle ultime settimane alla luce delle preoccupazioni per il rallentamento della domanda globale. Nel suo rapporto mensile sul mercato petrolifero di novembre, il cartello ha ulteriormente ridotto le previsioni di crescita della domanda globale di petrolio per quest’anno e per il prossimo, con la quarta revisione al ribasso mensile consecutiva. Gli analisti sono concordi nel ritenere che in assenza di una domanda sufficiente, i prezzi del petrolio non saliranno nonostante i tagli alla produzione concordati dai paesi membri dell’Opec+. Di fronte a questo grattacapo, “le visioni divergono” sulla strategia da adottare nella prossima riunione dei 22 ministri dell’organizzazione. 

Stati Uniti, la spina nel fianco della Russia (e della guerra in Ucraina)

Facciamo chiarezza e riavvolgiamo il nastro. Oltre alla tradizionale organizzazione dell’Opec, nel 2016 è nato un altro raggruppamento informale di Stati produttori di petrolio ma non membri dell’organizzazione: viene chiamato Opec+ e ne fa parte anche la Russia. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), il greggio statunitense rappresentava l’11 per cento della produzione globale nel 2016 quando l’Opec si è unita con altri dieci paesi per formare l’Opec+, rispetto al 16 per cento attuale. Nello stesso periodo, la quota complessiva dei paesi del cartello è scesa dal 62 per cento al 56. Quindi, il cartello petrolifero produce circa la metà del greggio mondiale.

Il gruppo ora mira a smantellare gradualmente i tagli alla produzione di petrolio entro il 2025, introdotti per aiutare a sostenere i prezzi. Ma un rallentamento della domanda globale e della Cina – il più grande importatore di oro nero al mondo – e l’aumento della produzione al di fuori del gruppo rappresentano degli ostacoli al piano dell’Opec+. Molti osservatori intanto ritengono che i prezzi del WTI e del Brent si aggireranno intorno ai 60 dollari il prossimo anno, ben lontani dall’agognato traguardo degli 80 euro.

Gli Stati Uniti in primis, anche loro grandi produttori di petrolio, temono che il taglio deciso dall’Opec+ (in cui, appunto, c’è anche la Russia) renda vano il tentativo di mettere un tetto di prezzo al petrolio russo e che, in questo modo, Mosca non avrà sostanziali ricadute economiche per la guerra in Ucraina. Il ritorno di Donald Trump alla Casa può invertire i piani dell’Opec+. 

Già in campagna elettorale, Trump ha dichiarato di voler aumentare la produzione di petrolio e gas naturale degli Stati Uniti per contribuire ad abbassare i costi energetici per i consumatori. Fenomeno, questo, che si è già visto durante l’amministrazione Biden, quando la produzione di greggio degli Stati Uniti ha raggiunto livelli mai toccati da nessun altro paese nella storia. Nell’agosto del 2024, dopo il record dell’anno precedente, gli Stati Uniti sono confermati il primo produttore mondiale di greggio drenando oltre 13,40 milioni di barili di greggio al giorno. La decisione di Biden deve quindi essere letta nell’ottica di ricostruire le proprie riserve strategiche di petrolio e abbassare i prezzi del greggio. Adesso il segnale lanciato da Trump, al grido di “drill, baby, drill”, è indirizzato a tutti, principalmente al presidente russo Vladimir Putin.

Un aumento dell’estrazione e della commercializzazione di petrolio da parte degli Stati Uniti determina, quindi, un calo dei prezzi globali. Ed è esattamente quello che non desidera Putin, il cui bilancio federale e quello della guerra si regge prevalentemente sulle royalty energetiche.

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