La deriva alla Orban è stata fermata ma pesa ancora la crisi dei migranti. «Anche qui la sinistra ha sbagliato a lasciare alla destra le questioni sociali»
«La vedi questa?», dice Ervin Hladnik Milharčič indicando la cattedrale barocca di Lubiana, Cerkev Sv. Nikolaja, dove la mattina del sabato anziane signore vendono mazzolini di fiori schierate una accanto all’altra nei loro banchetti di legno. «L’ha progettata Andrea del Pozzo», l’architetto e pittore trentino che a Roma eseguì gli affreschi della finta cupola di Sant’Ignazio di Loyola, il trompe-l’oeil più famoso della storia dell’arte.
«I maggiorenti di Lubiana la commissionarono come si ordinano le cose belle da un catalogo«, continua il decano del giornalismo sloveno, che ora scrive per il quotidiano Dnevnik. «Qualcosa del genere è accaduto con la nostra Costituzione negli anni Novanta: abbiamo fatto un download dal catalogo di Bruxelles e abbiamo cambiato le nostre leggi», continua il giornalista che non disprezza le iperboli. Tra meno di due mesi i cittadini sloveni saranno chiamati a esprimersi alle elezioni europee anche sul loro gradimento per la Ue, a vent’anni dall’ingresso.
Secondo un sondaggio di aprile dell’istituto sloveno Mediana il 29% pensa che la Ue abbia lavorato bene nella pandemia, il 17% sulla guerra in Ucraina, mentre solo il 10% apprezza la politica europea su migranti, aumento del costo della vita e conflitto a Gaza. «Sono contenta che ci sia l’Europa e che si possa collaborare insieme», mi dice Špela, 26 anni, allungandomi un cappuccino in un bed & breakfast della capitale.
«Quello che non mi piace è questa tendenza a voler uniformare tutto. Mi piacerebbe che fossero mantenute le specificità di ciascuno», spiega la giovane arrivata dalla provincia. Ha un sorriso grande, la voce calma ed occhi che ridono. È al suo primo impiego, dopo il master in moda e design, e non ha ancora pensato cosa votare. L’Unione europea in ogni caso non sarà il più importante argomento che porterà gli sloveni al voto.
«Le elezioni di giugno saranno di fatto un referendum sul governo di Lubiana», continua Hladnik Milharčič. C’è molta delusione per il governo di centrosinistra in carica da due anni, continua. Soprattutto tra le fila del suo elettorato. «Ha fatto poco, male e non ha dato grande prova di competenza» è il suo giudizio.
«Anche da noi c’è una sinistra ZTL, in tanti abitano qui intorno», allunga il braccio a mostrarmi dove ci troviamo, seduti ai tavolini all’aperto del Vodnikov Hram, ai piedi della funicolare che porta al castello di Lubiana, nel cuore della città. «Anche qui la sinistra ha lasciato alla destra le questioni sociali», aggiunge.
E per questo il tema centrale su cui si giocheranno le elezioni di giugno saranno i migranti, il cavallo di battaglia della destra. «I migranti sono il problema maggiore, perché creano un clima di insicurezza e violenza», sostiene con convinzione Žiga Turk, ex ministro dell’educazione del precedente governo di destra di Janez Janša. Ci incontriamo nel lounge bar dell’Hotel Occidental, lì dove Lubiana somiglia a Bruxelles, Parigi e New York. Janša – “l’amico di Orban” o “il principe delle tenebre”, secondo la definizione rimasta celebre dell’ex presidente della Repubblica sloveno Janez Drnovšek – potrebbe fare il pieno di voti a giugno.
Secondo un sondaggio di Politico.eu al momento il suo partito, Slovenska demokratska stranka (Sds) – affiliato in Europa al Ppe – conta sul 35% dei consensi, mentre la formazione Svoboda (GS) dell’ex manager e ora premier della Slovenia Robert Golob – nei liberali europei di Renew Europe – è al 23%. I socialdemocratici di SD, così come i cattolici conservatori di Nuova Slovenia – alleati dell’Sds e membri del Ppe – sono intorno all’8%, seguiti dalla sinistra di Levica al 5%. Il partito di Janez Janša è equiparabile all’estrema destra tedesca di Afd, sostiene la giornalista della tv pubblica Rtv Slo, Polona Fijavž, mentre per Turk nel Paese non c’è niente di equiparabile. Certo, la Slovenia è terra di transito per i migranti, una tappa della rotta balcanica.
Ora il governo sta cercando di costruire due centri di accoglienza al confine con la Croazia e questo è fonte di proteste, sfruttate ad hoc dall’Sds. Ma se transitano, qual è il problema? – chiediamo – la Slovenia è pur sempre un fazzoletto di terra di cui si possono vedere i confini dal campanile del castello.
L’accademico e membro del think tank del Ppe sorvola, piuttosto sottolinea la vicinanza con il modello ungherese. «È vero, la Slovenia ha delle analogie con i nostri vicini, ma in senso opposto a quanto si lascia intendere», ragiona Turk.
«Chi controlla la tv pubblica e il sistema economico non sono i partiti “alla Orban” ma i partiti di sinistra», prosegue l’ex ministro. «Quando anni fa Janša provò a cambiare il sistema televisivo, arrivarono le pressioni di Bruxelles per farlo desistere», prosegue l’accademico. L’Ue è stata una sorta di vincolo esterno di «impronta progressista, per questo c’è bisogno di meno Europa», conclude.
La destra slovena ha un’impronta illiberale e revisionista che punta a riabilitare i collaborazionisti sloveni che durante la guerra aiutarono le forze d’occupazione nazi-fasciste, sostiene Milharčič. Ma il problema in Slovenia non è la destra, che fa la destra, ma la sinistra che non ci sa fare, ragiona il giornalista. «Forse trent’anni di sistema democratico son pochi», aggiunge tra sé. «Quale che sia il risultato di giugno – e c’è da scommettere che non sarà positivo per il governo – la politica slovena è come il film “Il giorno della marmotta”: tutto si ripete uguale», è il pronostico di Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria. «Ci si unisce contro la destra, si governa così così, si perde, ma alle prossime elezioni si tornerà a unirsi contro il pericolo della destra». «Un po’ come l’antiberlusconismo che per decenni ha fatto da collante al centrosinistra italiano», conclude.
Il piccolo Paese alpino, 2 milioni e centomila abitanti, ha un’economia forte, con un tessuto di medie imprese simile all’Italia del Nord-Est. In politica guarda all’Austria, in economia alla Germania e alla Russia. E all’Italia non guarda? Nel 2003, Silvio Berlusconi nel corso di una conferenza stampa di governo introdusse il primo ministro della Slovacchia. Peccato si trattasse di Anton Rop, sloveno. E con la Slovenia l’Italia condivide 232 chilometri di frontiera. «Ma il rapporto tra Italia e Slovenia ancora non è semplice, c’è sempre il peso della storia in mezzo», ci ricorda Stefano Lusa.
«Nei rapporti bilaterali si torna sempre a discutere di fascismo e comunismo, di chi ha cominciato prima, di chi è più colpevole», prosegue il giornalista della minoranza italiana in Slovenia. «Ora le cose vanno un po’ meglio», dice. «Il prossimo anno Nova Gorica sarà capitale europea della cultura ed è stato messo in piedi un progetto transfrontaliero che coinvolgerà anche Gorizia».
I due sindaci, che pure erano di opposti fronti politici (centrodestra il sindaco di Gorizia, centrosinistra quello di Nova Gorica) hanno capito che l’unica prospettiva per le loro due città era collaborare. Si tratta di «un precedente simbolico importante per riunire due città separate dai confini», ci ha detto la ministra degli Esteri, Tanja Fajon. Storia a parte, la domanda resta. Perché ignorarsi tra vicini? La scorsa estate un’alluvione devastante in Slovenia è finita sui giornali di mezza Europa. In Italia, no. «La Slovenia all’Italia non serve perché non è un fattore politico né economico», spiega Hladnik Milharčič.
«Diventa interessante il 10 febbraio (il giorno del ricordo delle Foibe, ndr) per motivi politici», continua. Viceversa, nell’immaginario degli sloveni, l’Italia si ferma a Trieste e Monfalcone. «Quando sono stato per la prima volta a Caserta non ci potevo credere. Questa non è l’Italia, pensavo», mi racconta lo scrittore Goran Vojnović, ridendo.
Fonte: LaStampa