Positivi il 79 percento dei campioni: un’analisi di Greenpeace mostra come milioni di italiani siano esposti attraverso l’acqua potabile a sostanze chimiche pericolose e bioaccumulabili, note per essere interferenti endocrini e causare l’insorgenza di gravi patologie, tra cui alcune forme tumorali
Gli Pfas sono sostanze chimiche molto usate in ambito industriale. Ne esistono quasi cinquemila “tipologie”, alcuni con effetti dannosi per la salute ormai dimostrati, molti altri con rischi fortemente sospettati e in via di accertamento. Vengono definiti inquinanti eterni perché permangono per tempi lunghissimi nell’ambiente. E hanno quindi moltissime occasioni per entrare nel nostro organismo, accumularvisi ed esercitare i loro effetti dannosi.

Nel 2026 una direttiva europea imporrà una soglia limite per la presenza di Pfas nell’acqua potabile, ma attualmente nel nostro paese non esistono norme in materia, e quindi non ci sono neanche programmi di monitoraggio istituzionali che indaghino i livelli a cui sono esposti i cittadini italiani. Un gap che ha deciso di colmare Greenpeace, con un indagine appena pubblicata che ha analizzato l’acqua che esce dai rubinetti di 235 città italiane, arrivando a un responso poco rassicurante: gli Pfas sono presenti nel 79 percento dei campioni analizzati, con punte che in alcuni casi superano le soglie previste dalle normative europee.
L’indagine
L’analisi di Greenpeace ha coperto comuni dell’intero territorio nazionale, e di tutte le Regioni, andando alla ricerca di 58 sostanze vietate (è il caso del Pfoa) o considerate potenzialmente pericolose per la salute dalla comunità scientifica.




















I risultati mostrano un’associazione tra Pfas e livello di industrializzazione dei territori, e quindi anche un gradiente geografico che vede meno contaminazioni nel Sud del paese, e i livelli più elevati a Nord e nelle zone a più forte vocazione industriale.

Livelli elevati sono emersi in Lombardia (compresi quasi tutti i campioni prelevati a Milano), in Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana. Ma anche, in modo meno atteso, in Sardegna (nelle aree di Olbia, Sassari e Cagliari) e a Perugia in Umbria. Le regioni con meno campioni positivi sono state Abruzzo, Sicilia e Puglia. Con livelli variabili, però, il problema riguarda l’intera penisola (isole comprese): l’analisi dei 260 campioni raccolti ha rivelato almeno tre campioni positivi per ogni Regione.
Gli pfas nei nostri rubinetti
Le analisi di Greenpeace hanno monitorato 58 sostanze potenzialmente pericolose, il doppio delle 24 che verranno prese in considerazione nel 2026 con il recepimento delle direttive europee in materia. Tra gli Pfas ricercati, i più diffusi nelle acque italiane sono risultati il Pfoa, un noto cancerogeno presente nel 47 percento dei campioni analizzati, seguito dall’acido trifluoroacetico, o Tfa, una molecola a catena ultracorta che si forma dalla degradazione di moltissimi altri composti, e che nei campioni in cui era presente (il 40 percento del totale) è sempre risultata la sostanza più abbondante, e il Pfos.
- Il comune dove sono stati registrati i livelli più elevati di contaminazione da Pfoa sono Bussoleno (TO), con 28,1 nanogrammi per litro, seguito da Rapallo (GE), Tortona (AL), Torino (Corso Sclopis), Imperia, Fossano (CN), Aosta, Genova (Piazza Aprosio), Comacchio (FE) e Suzzara (MN). Situazione particolarmente critica nella città di Torino dove, oltre al campione prelevato in Corso Sclopis, si registrano elevate contaminazioni in altri due punti di prelievo: Piazza Borromini (15,8 nanogrammi per litro) e Corso Castelfidardo (15,3 nanogrammi per litro).

- Il PFOS (Perfluorottano sulfonato), classificato come possibile cancerogeno dall’Agenzia delle nazioni unite per la ricerca sul cancro, è stato individuato nel 22% dei campioni (58 su 260). I valori più elevati sono stati registrati a Milano (Via delle Forze Armate), Bussoleno (TO), Ancona (Piazza Fontana), Rimini, Montesilvano (PE), Rovigo, Carrara, Teramo, Comacchio (FE), Fiorenzuola d’Arda (PC) e Arzignano (VI).

È bene ricordare che Pfoa e Pfos sono già banditi a livello globale, rispettivamente dal 2009 e da 2019: trovarli ancora nell’acqua del nostro rubinetto dimostra la loro lunghissima persistenza nell’ambiente e rende il problema attuale anche anni, e decenni, dopo che si è smesso di utilizzarli.
C’è un altro inquinante eterno che è finito al centro delle attenzioni del mondo scientifico e mostra un’ampia diffusione nei comuni italiani. Il TFA (Acido Trifluoroacetico) è stato ritrovato nel 40% per cento dei campioni analizzati, ovvero 104 su un totale di 260. A eccezione di Arezzo, in tutti gli altri campioni in cui è stata accertata la presenza di TFA, questo costituisce la quasi totalità dei PFAS misurati in termini di massa.

La Sardegna (77% dei campioni positivi), il Trentino Alto Adige (75% dei campioni positivi) e il Piemonte (69% dei campioni positivi) sono le Regioni in cui la contaminazione da TFA è risultata essere più diffusa.

Un quadro tutt’altro che rassicurante: milioni di italiani sono esposti attraverso l’acqua potabile a sostanze chimiche pericolose e bioaccumulabili, note per essere interferenti endocrini e causare l’insorgenza di gravi patologie, tra cui alcune forme tumorali. Pochi i territori non intaccati dalla contaminazione, con le maggiori criticità che emergono in quasi tutte le Regioni del Centro-Nord e in Sardegna.

Guardando ai livelli di Pfas emersi nell’indagine, solo in un caso superano quelli che saranno introdotti nel 2026, pari (per il parametro “somma di Pfas” utilizzato nella normativa) a 100 nanogrammi per litro. Greenpeace fa però notare che tali soglie, stabilite nel 2020, sono ormai considerate insufficienti per proteggere la salute umana dalla stessa agenzia europea per l’ambiente, basandosi sulle conoscenze più recenti in materia.

Paragonando la situazione emersa con i limiti in vigore in altre nazioni che, a differenza della nostra, hanno deciso di applicare norme più stringenti di quelle comunitarie, l’acqua dei rubinetti italiani è risultata oltre le soglie di sicurezza americane nel 22 percento dei campioni analizzati, e oltre quelle danesi nel 41 percento.

“È inaccettabile che, nonostante prove schiaccianti sui gravi danni alla salute causati dai Pfas, alcuni dei quali riconosciuti come cancerogeni, e la contaminazione diffusa delle acque potabili italiane, il nostro governo continui a ignorare questa emergenza, fallendo nel proteggere adeguatamente la salute pubblica e l’ambiente”, ha affermato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, durante la presentazione del rapporto. “Ancora oggi non esiste nel nostro Paese una legge che vieti l’uso e la produzione dei Pas. Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile. Il governo Meloni deve rompere il silenzio su questa crisi: la popolazione ha diritto a bere acqua pulita, libera da veleni e contaminanti”.