Se gli introiti del comparto turistico costituiscono oggi oltre il 10% del Pil, i profitti non vengono redistribuiti ai lavoratori e non incidono poi troppo nello sviluppo della nostra economia
Un affare per pochi, di certo non per tutta la collettività. “Se ci crediamo il turismo sarà il petrolio della nostra Nazione” aveva detto la ministra del turismo Santanchè commentando il buon afflusso di turisti registrato durante il “Ponte dell’immacolata”. La ministra aveva poi anche twittato contro il Pd reo di inquinare, per puro calcolo elettorale, un successo che dovrebbe rendere orgogliosi tutti gli italiani.
Ma le cose stanno davvero così? A smontare questa narrazione, su Twitter, ci ha pensato in questi ultimi giorni l’economista Riccardo Trezzi, che ha risposto alle affermazioni della ministra del turismo con una serie di grafici.
Salari fermi per molti e profitti per pochi: il turismo “Made in Italy”
Partiamo col dire che sicuramente il turismo rappresenta una fetta importante del Pil italiano. Vale una percentuale di prodotto interno lordo che oscilla tra il 6 e il 13 percento (se includiamo anche i trasporti e la ristorazione). Il punto è però che gran parte di questi introiti non vengono redistribuiti ai lavoratori del settore, spesso costretti a lavorare in nero o con soldi fuori busta, come abbiamo documentato in molte nostre inchieste. Ma anche guardando ai salari reali e ai contratti nazionali, le cose non vanno certo meglio.
Come osserva Riccardo Trezzi, su Twitter, analizzando i dati Istat, le retribuzioni in ambito turistico sono ferme da anni, mentre non si arresta il tasso di inflazione che va a intaccare pesantemente il potere di acquisto dei lavoratori. Una banale evidenza che potrebbe servire a rispondere alle tante lamentele di molti imprenditori del settore che lamentano di non trovare “personale adeguato”. Ma se i salari rimangono fermi, a oscillare verso l’alto sono i prezzi e conseguentemente i profitti degli imprenditori del settore.
Stipendi fermi e prezzi in rialzo: così lavorare nel turismo è sempre meno conveniente
Per accorgersene basta guardare ai prezzi degli hotel che sono in rialzo e non di poco. Sono aumentati del 60% dal 2012, una percentuale nettamente superiore all’inflazione che si traduce automaticamente in aumento dei profitti. Non si può dire la stessa cosa però per gli stipendi dei lavoratori del settore, rimasti al palo praticamente dal 2016.
E come sottolinea Trezzi, perfino il recente rinnovo del contratto di lavoro nazionale del turismo prevede un aumento delle retribuzioni lorde del 13% entro il 2027. Ovvero inferiore al tasso di inflazione. Una vera e propria beffa.
E il confronto appare addirittura grottesco se si prendono in considerazione le altre nazioni. I bassi stipendi nel settore e la mancata crescita salariale non è un fenomeno mondiale, ma esplicitamente italiano.
Il confronto con Francia e Usa: così i nostri salari sono al palo da anni
Sì, perché se da un lato è vero che l’industria del turismo è un settore interessato strutturalmente da meno produttività, aziende più piccole e da un ricambio di ricambio di lavoratori (spesso giovani) più elevato rispetto ad altri comparti lavorativi, è vero anche che, come avviene in molti altri settori, la stagnazione dei salari è un fenomeno tutto italiano. Per rendere l’idea di cosa stiamo parlando Trezzi fa due esempi. Il primo con l’andamento dei salari dei lavoratori del turismo in Usa e in Italia.
Come si può facilmente osservare, dal 2016 il rapporto diventa imbarazzante e la forbice degli aumenti di salari nominali si allarga in modo esponenziale tra le due categorie. E le cose diventano drammatiche se si guarda ai salari reali. In questo caso la distanza tra i nostri lavoratori e quelli oltreoceano diventa abissale.
Ma anche se confrontiamo i salari italiani del settore, con quelli francesi, non possiamo certo godere sonni tranquilli. Anche in questo caso i salari dei nostri lavoratori rimangono al palo e l’andamento diverge in modo sostanziale.
L’evidenza è quindi una. Ad aumentare negli anni sono stati prevalentemente i profitti degli imprenditori del settore, non certo i salari dei lavoratori. E le ricadute del turismo sull’economia reale e sull’economia nazionale sono state inferiori a quelle registrate in altre nazioni con dinamiche salariali diverse. Parlare di petrolio insomma, è quantomeno fuorviante.