Cambogia-Thailandia, conflitto ai templi: attacchi e migliaia di sfollati, bilancio di 33 morti

26.07.2025 10:35
Cambogia-Thailandia, conflitto ai templi: attacchi e migliaia di sfollati, bilancio di 33 morti

Guerra o pace? I soldati di Thailandia e Cambogia continuano a scambiarsi colpi di mitraglia e artiglieria lungo la frontiera contesa, immersi nel verde della giungla e tra le pietre erose dal sole degli antichi templi, ora oggetto di rivendicazione e bombardamenti. Il numero dei morti sarebbe già salito a 33. Nel frattempo, i leader delle due nazioni cercano di discutere una tregua per salvaguardare la propria immagine, riporta Attuale.

Per facilitare questo dialogo, è intervenuto un mediatore: il primo ministro della Malesia, Anwar Ibrahim, che ha annunciato che Bangkok e Phnom Penh hanno concordato un’intesa di massima per un cessate il fuoco e il ritiro delle truppe dal confine. Tuttavia, hanno richiesto del tempo. Ibrahim ha riportato «colloqui positivi» con il primo ministro ad interim della Thailandia, Phumtham Wechayachai, e con il premier cambogiano, Hun Manet, esprimendo gratitudine per la loro disponibilità. Come indicato dal ministero degli Esteri malese, attualmente presidente dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean), Ibrahim ha fatto appello a entrambi i leader per un «cessate il fuoco immediato», al fine di prevenire ulteriori violenze e creare uno spazio per un «dialogo pacifico e una risoluzione diplomatica», offrendo supporto per facilitare la ricerca di una soluzione accettabile per entrambe le parti.

Intanto, il conflitto continua a concentrarsi attorno alle rovine dei templi che da decenni alimentano le controversie tra i due Paesi: Preah Vihear e Prasat Ta Muen Thom. È evidente che sia per Bangkok che per Phnom Penh è cruciale, in questo momento, «salvare la faccia» e chiudere la crisi sventolando la bandiera della vittoria, per quanto simbolica possa essere.

La Thailandia è una nazione fiera: oltre ai sorrisi dei suoi abitanti che annualmente attraggono milioni di turisti, cela uno «spirito guerriero» e un orgoglio nazionale derivante dalla capacità di resistere, tra l’Ottocento e il Novecento, all’espansione di potenze coloniali come Gran Bretagna e Francia. Infatti, è l’unico Paese del Sud-Est asiatico a non aver mai perso la propria indipendenza. La Cambogia, dal canto suo, tenta di rinvigorire il ricordo dei grandi regni Khmer e di superare la lunga occupazione francese, cercando di riaffermare un ruolo regionale compromesso da tragedie interne come l’era di Pol Pot e degli Khmer Rossi (1975-1979).

Queste dinamiche possono contribuire a spiegare l’ennesimo scontro che insanguina una regione inclinata più verso crisi interne che a conflitti con l’esterno.

Recentemente, le forze thailandesi avrebbero tentato di avanzare verso il monte Trapear, nelle vicinanze del tempio Preah Vihear, ma questo movimento è stato «respinto» dalle truppe cambogiane. Il governo thailandese, dopo aver imposto la legge marziale lungo il confine, ha dichiarato di affrontare minacce alla propria sovranità e integrità territoriale da parte della Cambogia, nonostante i tentativi di «moderazione e pazienza» degli ultimi mesi, e ha confermato la morte di 15 civili come conseguenza degli attacchi. Le forze armate hanno affermato di avere risposto nel rispetto dei limiti, colpendo esclusivamente le postazioni da cui sono stati effettuati gli attacchi contro i civili thailandesi, in base al principio di autodifesa previsto dal diritto internazionale. Il governo ha anche segnalato l’evacuazione di «centinaia di migliaia di persone», sottolineando che si tratta di una questione tra le leadership e le forze armate dei due Paesi, non tra i rispettivi popoli.

La Cambogia, dal suo canto, ha accusato la Thailandia di utilizzare munizioni a grappolo, riferendosi a un ritorno alle «tattiche brutali» impiegate dall’esercito thailandese nel 2011, mentre bombarda le città al confine. In attesa della tregua, la pace nella regione tropicale sembra sospesa fino a quando non verrà emesso l’ordine di fermarsi.

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