Un report della Corte dei conti Ue critica duramente il modo in cui i soldi vengono spesi. In Libia gli equipaggiamenti per la guardia costiera finiscono nelle mani di criminali
Un fondo apposito dell’Unione europea doveva aiutare l’Africa a rispondere efficacemente alla crisi migratoria, peccato che i soldi siano stati utilizzati (anche) in violazione dei diritti umani, finendo nelle mani di criminali. Questa la denuncia contenuta nel report pubblicato il 25 settembre dalla Corte dei conti Ue sull’utilizzo del Fondo fiduciario (Trust Fund) per l’Africa.
I giudici accusano espressamente la Commissione europea di aver speso male i soldi messi a disposizione e di sopravvalutare i risultati raggiunti. L’accusa più grave riguarda però la responsabilità dei funzionari, che avrebbero chiuso gli occhi di fronte alle palesi violazioni contro i migranti portate avanti da quegli stessi trafficanti che l’Europa assicura di voler contrastare. Libia e Tunisia i Paesi più problematici. Gli stessi con cui l’Italia ha siglato importanti accordi di partenariato.
Risultati sopravvalutati
Il Fondo (EuTF) attivato nel 2015 è destinato a tre regioni africane: il Sahel e lago Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa settentrionale. Tutte queste aree sono caratterizzate da sfollamenti interni, mentre il Sahel è una delle vie di transito utilizzate più spesso dai migranti diretti in Europa. “Un sostegno frammentato e poco attento alle priorità strategiche non riesce a produrre un impatto” ha dichiarato Bettina Jakobsen, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “Sebbene l’EuTF abbia contribuito a mantenere la migrazione in cima all’agenda politica e dello sviluppo, dobbiamo ribadire le nostre critiche, in quanto poco è cambiato.
Il fondo non è ancora abbastanza focalizzato sulle proprie priorità e ha un campo d’azione troppo ampio”, ha sottolineato la relatrice. La corte evidenzia che nonostante i finanziamenti siano stati disponibili in modo rapido, non è chiaro se il modo in cui sono stati spesi sia efficace. “I risultati non mostrano se i progetti siano sostenibili o se abbiano contribuito ad affrontare le cause profonde dell’instabilità, della migrazione irregolare e degli sfollamenti”, si legge nel report. “Quindi la Commissione non è ancora in grado di stabilire quali siano gli approcci più efficaci ed efficienti per ridurre la migrazione irregolare e gli sfollamenti forzati in Africa”, prosegue il testo.
Gli accordi dell’Italia con Libia e Tunisia
La parte più grave riguarda la violazione dei diritti umani nei Paesi che il blocco europeo ha scelto di finanziare, come la Libia e la Tunisia. Proprio con la Libia l’Italia ha stipulato accordi di partenariato nel 2017, firmati dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dopo le negoziazioni condotte dall’ex ministro degli Interni Marco Minniti. Il governo italiano stabilì di fornire per tre anni aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche, per ridurre il traffico di migranti attraverso il Mar Mediterraneo. Lo Stato libico si impegnò da parte sua a migliorare le condizioni dei propri centri di accoglienza per migranti. Il trattato, stipulato per tre anni, è stato rinnovato per altri cinque anni nel novembre 2022, subito dopo l’inizio del governo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Dall’inizio del suo mandato la premier italiana si è impegnata personalmente e a più riprese per firmare intese con la Tunisia. Anche in questo caso, tra i punti chiave degli accordi c’è il compito per la nazione guidata dal presidente Kais Saied di fermare le partenze irregolari di migranti. Sia la Libia che la Tunisia sono stati denunciati a più riprese dalle organizzazioni umanitarie per lo sfruttamento dei migranti e le gravi condizioni in cui migliaia di persone sono costrette a vivere sotto il giogo delle autorità locali. L’audit della Corte conferma questi problemi e critica il modo in cui sono gestiti i fondi.
“La Commissione non dispone però di procedure formali per segnalare, registrare e seguire presunte violazioni dei diritti umani collegate ai progetti finanziati dall’Ue”, scrivono i giudici. “Ad esempio, non esiste un sistema per dimostrare che le denunce siano state esaminate con la dovuta attenzione e che se ne sia tenuto conto nel decidere se continuare o sospendere il sostegno dell’Ue”, precisano i relatori che ammettono di non essere in grado di confermare che tutte le denunce siano state effettivamente seguite.
Tanti soldi spesi ma le migrazioni continuano
Già nel 2018 i giudici avevano pubblicato un rapporto preliminare sull’utilizzo di questi fondi pari a 5 miliardi di euro di contributi, a sostegno di 27 paesi africani. Nonostante le ingenti risorse investite, ha sottolineato la Corte, “le cifre della migrazione irregolare verso l’Europa sono di nuovo in constante aumento, dopo un relativo rallentamento nel corso della pandemia. Gli accordi di finanziamento dell’Ue stabiliscono nelle condizioni generali che “l’azione deve essere sospesa se l’Ue rileva formalmente una violazione dei diritti umani”. La Corte ha contestato che questa clausola è stata ignorata o comunque “non è stata applicata sistematicamente a tutti i progetti, in particolare a quelli relativi alla sicurezza, alla gestione delle frontiere o ad altre attività sensibili”.
Migranti con lo spazzolino ma senza l’acqua
I nodi principali riguardano la Libia, che nonostante i fondi ricevuti dalla Guardia costiera libica e le apposite attrezzature finanziate dal Fondo e consegnate nel 2021, “non dispone di un centro di coordinamento nazionale per la ricerca e il salvataggio e il suo centro di coordinamento per il salvataggio marittimo non è ancora operativo”. I giudici hanno evidenziato inoltre che le organizzazioni umanitarie hanno ridotte possibilità di accedere ai luoghi che dovrebbero fornire assistenza ai migranti.
Alcuni rimpatriati intervistati dagli auditor della Corte hanno ammesso di non poter usate alcuni articoli ricevuti grazie ai fondi Ue, come spazzolini e sapone, perché non avevano accesso all’acqua. Infine, mentre i fondi hanno migliorato lievemente le condizioni nei centri in cui vengono trattenuti i migranti, la qualità (pessima) del trattamento da parte delle autorità libiche non è mutata.
La connivenza tra guardia costiera libica e trafficanti
I giudici hanno evidenziato anche come imbarcazioni ed equipaggiamenti forniti alla “guardia costiera libica” possono finire nelle mani di “attori diversi” rispetto ai beneficiari, in grado anche di presidiare i punti di sbarco dei migranti salvati in mare. Ma chi sono questi attori? I report delle organizzazioni umanitarie parlano da anni di contrabbandieri e trafficanti di essere umani, che hanno stretti rapporti con gli apparati di sicurezza libici. La loro presenza viene rilevata anche nei centri di detenzione, mentre l’equipaggiamento pagato con i fondi europei a volte viene rivenduto, proprio a quelle organizzazioni criminali che i 27 del blocco dicono di voler combattere.