Esce in italiano per Fazi editore Sarah, Susanne e lo scrittore (pp. 384, euro 19), il più recente tra i libri del francese Éric Reinhardt. La storia raccontata, nella pronta traduzione di Anna D’Elia (oggi insieme a Giulia Zavagna ne discuterà al Salone del libro di Torino alle 11:45 in Sala Lisbona, ndr), parte da un’esplorazione che ha a che vedere con la ricerca identitaria tra quelle verità scomode e segrete che permeano l’ambiente della borghesia francese. Questa ricerca avviene tramite l’osservazione dei riflessi generati dai giochi di specchi che coinvolgono due donne, protagoniste di questa storia e viste dallo sguardo di un uomo – lo scrittore – che allo stesso tempo le guarda guardarsi.
Per prima Sarah, una delle due personagge, chiede allo scrittore di servirsi della storia della sua vita come ispirazione per un’opera di narrativa che abbia come protagonista un suo doppio, Susanne, una donna che le corrisponde senza esserle identica. Susanne è di Digione e non delle coste del Nord Ovest della Francia come Sarah, eppure i loro destini si somigliano. Quando Sarah manifesta la delusione dell’imbroglio in cui il marito l’ha invischiata, Susanne disvela la sua angoscia. «Non voglio che mio marito mi trascini nelle sue bassezze, non voglio che il suo cervello mi imponga l’atmosfera in cui dovrò vivere da oggi in poi. Non voglio vivere dentro il suo cervello. Se mi impantano in una bega giudiziaria con lui, mi ritroverò incatenata ai suoi deliri, mi imporrà le brutture che ha in testa, si insinuerà ovunque, nel minimo interstizio dei miei pensieri».
Le bassezze del marito di Susanne corrispondono a quelle del marito di Sarah e in comune hanno l’inganno che riguarda la casa coniugale e tutto ciò che essa rappresenta; ma che pertiene anche alle fondamenta di una storia dove ogni forma d’amore è assente perché a imperare, assolutamente, sono le aspettative sociali. Quelle – autoimposte – nei confronti della coppia sposata-con figli-tutti contenti.
Il romanzo di Éric Reinhardt è riuscito per diversi motivi; innanzitutto perché la dinamicità che caratterizza i dialoghi tra i personaggi risente positivamente dell’expertise teatrale dell’autore. Secondariamente perché tramite il dispositivo metaletterario l’autore riesce a scongiurare il rischio di raccontare una storia di cui conosciamo i termini, la loro misoginia, e anche l’epilogo – cioè quello di una vicenda di terribile e ordinario disamore, che sembra verniciare con la stessa prepotenza i quadri familiari della borghesia europea almeno dal secolo scorso.
Il suo romanzo può essere letto come una rivelazione dei meccanismi metaletterari che animano gli scrittori e le scrittrici nel momento in cui si accingono a scrivere una storia. Quando Sarah discute con lo scrittore circa le caratteristiche, fisiche, psichiche ma anche dell’ambiente in cui far abitare Susanna, l’atmosfera del romanzo si trasforma diventando, potremmo dire, demiurgica.
Il libro inizia in effetti come un meta-romanzo, perché non intendevo scrivere un romanzo classico, volevo dare ai miei lettori emozioni e sensazioni un po’ nuove e sorprendenti, anche se, nel corso del libro, assistiamo anche alla mia riconciliazione con il puro piacere della finzione. Naturalmente, l’idea era anche che il mio libro mostrasse dall’interno come si crea un romanzo: con Sarah presentata come modello e Susanne come personaggio fittizio che ne emerge, il lettore può vedere in ogni momento le invenzioni e i tradimenti dello scrittore. Questa idea di forma mi permette anche di raccontare due storie dallo stesso punto di partenza, anziché una sola, come avviene di solito nei romanzi. Se sono due, significa che in realtà sono tre, che potenzialmente sono dieci, cento o mille. Questo espediente insomma racconta una forma di universalità della situazione che sto descrivendo al di là delle sue modalità specifiche.
Sarah è gettata in una sorta di «boucle» infernale dalle menzogne del marito. Che forma di violenza agisce egli nei suoi confronti, e perché l’agisce?
Nel 2014, con il mio romanzo L’amore e le foreste (Salani Editore), avevo già affrontato i temi delle molestie coniugali e della violenza psicologica all’interno di una coppia. In questo caso, apparentemente, il marito è piuttosto comprensivo, conciliante, poco oppositivo. Ma è semplicemente assente dal rapporto di coppia, accontentandosi di una sorta di finzione di felicità familiare – mentre la loro vita sentimentale è diventata una menzogna. Sarah e Susanne soffrono, incapaci di cedere alle loro esigenze esistenziali. Scoprono anche, per caso, di possedere solo il 25% della casa coniugale, e allora si inventano promesse, ma in realtà non succede nulla. Entrambe decidono dunque di lasciare la casa per due mesi, per far svegliare i loro rispettivi mariti, costringerli a mantenere le promesse e far capir loro che potrebbero perderle. Ed è allora che inizia la vera violenza, il silenzio che questi due uomini imporranno alle loro mogli durante la loro assenza e soprattutto quando vorranno tornare a casa. A posteriori, questo silenzio irrevocabile dà ragione alle due donne sulla reale e spaventosa natura di questi due uomini apparentemente pacifici, con cui avevano condiviso i loro giorni.
Nel suo libro è messo in scena un gioco di specchi, per certi versi teatrale, in cui lei narratore-autore (le) osserva ma in cui anche Sarah e Susanne si guardano? Cosa ha animato la sua scelta?
La mia fantasia, quando ho avuto l’idea di questo espediente narrativo, era quella di far evolvere queste due donne contemporaneamente nello stesso spazio romanzesco, di fare vivere loro più o meno la stessa cosa, nello stesso momento, in due luoghi diversi, come se fossero trasparenti l’una all’altra.
Ho pensato che questo potesse produrre immagini mentali inquietanti e oniriche di una donna che completa il gesto o la frase iniziata dall’altra, di una donna che osserva la sua famiglia dalla finestra illuminata di un palazzo del centro città mentre l’altra scruta la facciata di una casa in campagna. Mi affascinano i film di David Lynch, Persona di Bergman o Inseparabili di Cronenberg, le storie di doppi. Volevo offrire un’esperienza simile. Con immagini che sono capaci di inscriversi profondamente nell’immaginario di chi legge.
Sarah lascia le mura della sua casa per prendere una pausa dalle omissioni del marito, Susanne per essere ricoverata all’Ospedale Psichiatrico La Chartreuse, a Digione. La fuga di una fa da contraltare all’isolamento dell’altra. Cosa accomuna le due protagoniste del suo romanzo e cosa le differenzia?
Poiché Susanne è immaginata dalla scrittrice sulla base di ciò che Sarah le ha raccontato, per me era importante che Sarah, nel romanzo, rimanesse sempre credibile e realistica. Infatti, poiché io stesso mi sono ispirato alla storia di una lettrice, che non voleva che nessuno la riconoscesse, Sarah è già un personaggio di fantasia, il che significa che Susanne è un personaggio di fantasia al quadrato.
Susanne è più estrosa, impulsiva, impetuosa, ironica, radicale e audace di Sarah, che è più timida e riservata, come la mia lettrice. I due finali sono molto diversi, ognuno dei quali è in linea con le personalità delle mie due eroine. In entrambi i casi però le due donne finiscono per trovare il loro posto.