Tempismo, minoranze temi e periferie: ecco come le decisioni dietro le quinte prese da democratici e repubblicani hanno fatto la differenza. La vittoria dell’ex presidente sulla vicepresidente è arrivata così
Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono una storia fatta anche di scelte giuste e sbagliate. La netta sconfitta di Kamala Harris apre delle riflessioni sulle strategie che hanno portato Trump al secondo mandato presidenziale. Il 23 agosto, durante la convention democratica, Kamala Harris è diventata la candidata ufficiale del partito. Il 5 novembre i repubblicani sono tornati alla Casa Bianca assicurandosi anche la maggioranza al Senato. Nei due mesi intercorsi tra questi eventi sono nati e si sono sviluppati cinque principali motivi che hanno portato alla sconfitta di Harris.
L’ottimismo democratico, immotivato, della vigilia
Nell’ultima settimana prima del voto, i sondaggi davano Harris in lieve vantaggio e Trump in recupero. Eppure, lo staff dei democratici mostrava ottimismo e credeva nell’elezione della vicepresidente. Secondo le testimonianze interne raccolte dal New York Times, i funzionari della campagna di Harris erano convinti di avere una posizione “solida” negli stati del “muro blu” del nord, ovvero Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. In più, pensavano di poter competere nei quattro stati chiave della “Sun Belt”: Arizona, North Carolina – pur con qualche difficoltà -, e Georgia e Nevada, considerate più abbordabili.
D’altra parte, lo staff di Trump era convinto di poter vincere in almeno uno degli Stati del muro blu, restando competitivi negli altri. La fiducia era particolarmente alta per la Pennsylvania, considerata decisiiva per l’elezione. Altri consiglieri si mostravano ancora più ottimisti: Trump poteva vincere addirittura in tutti e sette gli stati in bilico: alla fine è andata così.
Dopo il dibattito presidenziale con 67 milioni di spettatori, il capo sondaggista di Trump, Tony Fabrizio, aveva previsto “una brutale copertura mediatica” sulla buona performance di Harris a discapito dell’ex presidente. Nei sondaggi si era visto un piccolo rimbalzo democratico, ma le altre analisi condotte dai repubblicani avevano stupito Fabrizio: Trump non sembrava aver perso terreno. “Non ho mai visto niente del genere”, commentó il capo sondaggista.
L’eredità di Biden e i tempismi della campagna elettorale democratica
Dopo che Biden si è ritirato dalla corsa, Harris ha iniziato una campagna elettorale di 100 giorni promettendo una “New way forward”, puntando alle donne, grazie al tema dell’aborto, e agli elettori della classe operaia, promettendo tagli delle tasse e più agevolazioni per l’acquisto di una casa.
L’eredità dell’amministrazione Biden, di cui Harris fa parte in quanto vicepresidente, non era positiva: il tasso di approvazione del presidente si è costantemente attestato intorno al 40%, mentre negli exit poll subito dopo il voto due terzi degli elettori affermavano che il loro Paese fosse “sulla strada sbagliata”.
Dopo lo slancio iniziale fatto di donazioni record ed endorsement delle popstar, Taylor Swift tra tutte, Harris non è mai riuscita a superare l’insoddisfazione dell’elettorato per Joe Biden. Per questo si è trovata in una posizione scomoda: tra il non poter criticare apertamente il presidente, di cui lei è vice, e la volontà di presentarsi come una figura differente.
Sappiamo chi è Trump, ma chi è Kamala Harris?
Tutto questo ha portato a un problema di riconoscibilità, emerso con forza in un’intervista che doveva essere “semplice” per Harris. Durante un talk show su Abc, le è stato chiesto se avrebbe fatto qualcosa di diverso da Biden. La risposta: “Non mi viene in mente niente”.
“Gli elettori sanno già tutto su Trump, ma volevano comunque sapere di più sui piani di Harris per la prima ora, il primo giorno, il primo mese e il primo anno della sua amministrazione – scriveva su X il veterano sondaggista repubblicano Frank Luntz – Kamala Harris ha perso queste elezioni quando ha cambiato idea concentrandosi quasi esclusivamente sull’attacco a Donald Trump”.
In generale, Harris ha centrato la campagna elettorale su Trump più che su se stessa. Nelle prime settimane si era presentata come ex procuratrice dello Stato che “dava la caccia ai cattivi”, cioè Trump, per ricordare i suoi problemi giudiziari. Poi ha enfatizzato il suo essere “fascista”. Nel mentre, i suoi temi “forti” passavano in secondo piano.
Trump ha indovinato le vere preoccupazioni degli americani
I temi su cui ha puntato Harris non sono le priorità degli americani. Poter pagare l’affitto e le paure dell’immigrazione hanno pesato più della prospettiva di un attacco alla democrazia e del diritto all’aborto. In oltre 200 interviste svolte tra i 50 Stati nei quattro giorni precedenti le elezioni, gli elettori, soprattutto negli stati indecisi, non hanno parlato di democrazia o istituzioni in pericolo, ma di “prospettive ridotte”. L’insoddisfazione generale era alta alla vigilia del voto, nonostante la discesa dei tassi di inflazione, di disoccupazione e di criminalità.
Secondo i dati di Associated Press, circa 3 elettori su 10 hanno dichiarato che la situazione finanziaria della propria famiglia era in peggioramento: un dato in aumento rispetto ai circa 2 su 10 di quattro anni fa. Inoltre 9 su 10 si sono dichiarati “molto o abbastanza preoccupati” per il prezzo dei generi alimentari. Lo stesso sondaggio ha rilevato che 4 elettori su 10 hanno affermato che gli immigrati illegali avrebbero dovuto essere deportati nei loro paesi di origine, rispetto ai circa 3 su 10 che affermavano lo stesso nel 2020.
Nel mentre, Trump ha fuso la sua identità con quella di metà Paese: la foto segnaletica è diventata una maglietta venduta, la condanna penale ha ispirato 100 milioni di dollari di donazioni in un giorno. E le immagini di lui sanguinante dopo un fallito tentativo di assassinio hanno dato un alone di vittoria predestinata, più volte presentata dallo stesso Trump come una “volontà di Dio”.
Harris si perde periferie e minoranze: la mappa del voto
Lo staff di Harris sperava di ricostruire la base elettorale che aveva dato la vittoria a Biden nel 2020: neri, latini e giovani, puntando a nuovi consensi tra gli elettori delle periferie con un’istruzione superiore. Le aspettative non sono state rispettate: secondo gli exit poll, la vicepresidente ha perso 13 punti percentuali sugli elettori latini, due tra gli elettori neri e sei tra gli elettori sotto i 30 anni. E, come si vede dalla mappa realizzata dal New York Times, nel 90 per cento delle contee Trump ha preso più voti rispetto al voto del 2020, anche in stati storicamente “blu”.
Le donne hanno ampiamente preferito Harris a Trump, ma il vantaggio della vicepresidente non ha superato i margini sperati: ad esempio, il 53% delle elettrici repubblicane delle aree periferiche ha preferito Trump.
Il dato sul tema dell’aborto ne è un esempio: nelle prime elezioni presidenziali da quando la Corte Suprema ha annullato il diritto costituzionale all’aborto, il 54% delle elettrici ha votato per Harris, tre punti in meno rispetto a quante avevano sostenuto Biden nel 2020.
Così, le scommesse dei repubblicani si sono rivelate in linea con gli orientamenti e i bisogni della maggioranza di chi ha votato. In generale, le elezioni presidenziali del 2024 hanno mostrato che le preoccupazioni per l’economia sono superiori a quelle per i diritti e la democrazia e che gli endorsement raramente fanno cambiare idea agli elettori: la nuova campagna elettorale per il post Donald Trump partirà da queste premesse.