In Italia sono undici gli atenei on line riconosciuti dal Miur e contano 236 mila iscritti
Nel 2011 gli iscritti erano 44.977. Nell’anno accademico 2022/2023, 236.245. Ecco la ragione di tanto interesse: una domanda dalla crescita incontrollata grazie ad un business profittevole, con rette che partono da 1.500 e fino a 3 mila euro l’anno. Senza contare i costi per la procedura di iscrizione a ogni singolo esame, quelli per le dispense o la quota iniziale di iscrizione e altri costi addizionali che possono portare il conto oltre i 7 mila euro l’anno.
Gli ultimi anni Covid rappresentano la “golden age” delle università telematiche italiane, istituti privati dai fatturati monstre, spesso considerati fabbriche di lauree a pagamento. Un mondo che viaggia a ritmi molto più alti rispetto all’aggiornamento delle leggi che disciplinano il mondo dell’università, prestando il fianco a una burocrazia ancora opaca e a buchi legislativi. In Italia sono 11 le università telematiche riconosciute dal ministero dell’Università e della Ricerca, tutte di diritto privato. La più grande è Pegaso (90mila iscritti), seguita da E-Campus (47mila iscritti), Mercatorum (43mila iscritti); Cusano (22mila), Nettuno e Marconi (15mila), San Raffaele (10mila), Unitelma (3.300, ma circa il doppio a master e altri corsi avanzati), Fortunato (2.200), IUL (1300) e infine Da Vinci (300).
A conferma di una posizione sempre più rilevante nel panorama educativo nazionale, negli ultimi tempi il dibattito intorno al funzionamento e alla regolamentazione di questi istituti è arrivato anche a coinvolgere i vertici dell’Istruzione.
Le aperture del governo
L’attuale governo è uno dei più concilianti di sempre nei confronti di questi istituti, come dimostrano le numerose aperture. L’ultima qualche giorno fa, con l’annuncio della creazione di un tavolo di lavoro che comprende la Crui, la Conferenza dei rettori italiani, e l’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, con l’obiettivo di «dare regole comuni per garantire la qualità dell’offerta formativa per tutti». Percorsi che secondo Bernini «intercettano un bisogno che c’è, esiste, non sono un pezzo che si muove in un far west» al punto che quelle in presenza e telematiche «devono avere la stessa modalità di regolamentazione». Di recente è anche nato un «intergruppo parlamentare» dedicato e composto da una ventina di deputate e deputati del centrodestra, dalla Lega a Fratelli d’Italia, a Noi Moderati, con l’obiettivo di «impedire che si inneschi un conflitto tra le università tradizionali e quelle online» ha sottolineato il presidente dell’Interguppo, il leghista Edoardo Ziello. Un’iniziativa che ha aizzato le opposizioni. La deputata dell’Alleanza Verdi Sinistra, Elisabetta Piccolotti, che ritiene l’intergruppo nato in Parlamento «espressione della lobby di istituti che sono stati al centro di scandali di natura finanziaria e che hanno spesso rapporti opachi con la politica».
I rapporti con la politica
Le commistioni fra questi due mondi, in effetti, non mancano. L’ex presidente della Camera ed ex esponente di punta di Pci-Pds-Ds-Pd, Luciano Violante, presiede Multiversity, società che, tra le altre cose, possiede ben tre università digitali: Pegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma. Il percorso inverso, dagli atenei telematici alla politica, ha invece caratterizzato l’ascesa di Stefano Bandecchi, dal 2023 sindaco di Terni e fondatore dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, realtà finita al centro di un’inchiesta (con tanto di sequestro da oltre 20 milioni di euro) per un’elusione di tasse da parte dell’ateneo, che avrebbe approfittato dello status fiscale agevolato per le università applicandolo anche alle società commerciali, come la Ternana Calcio. C’è poi stato il caso dell’Università e-Campus che il 6 febbraio 2023 ha versato 30 mila euro alla Lega per Salvini oltre ai 10 mila sborsati direttamente dal fondatore, Francesco Polidori, già creatore di Cepu a metà degli Anni ’90 e finito nel 2021 agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta per un debito monstre di 180 milioni di euro con il fisco italiano.
Le criticità
Uno studio della Flc Cgil mette in guardia su una situazione che «rischia di andare fuori controllo e di coinvolgere, nelle logiche di mercato che stanno trionfando, l’intero sistema universitario». Negli ultimi anni si è registrata una crescita esponenziale degli iscritti, che sono ormai il 12% del totale e in continua espansione. «Il cambiamento quantitativo, quando raggiunge queste dimensioni, diventa qualitativo e può avere, se non governato, pericolose ricadute generale» commenta Luca Scacchi, responsabile Forum docenza Universitaria della Flc Cgil. Non solo: secondo il sindacato la ripresa delle iscrizioni alle università successive al 2016 è da imputare per il 73% proprio alle telematiche
Come rileva l’indagine della Cgil l’apparato normativo che struttura attualmente il sistema universitario è stato sostanzialmente costruito prima dello sviluppo dell’attuale dinamica di mercato – tra il 1933 e i primi anni Duemila – quando «si poteva presumere che tutti i soggetti perseguissero prioritariamente un interesse pubblico, indipendentemente dalla loro natura statale o non statale». Oggi però la definizione delle strategie di business, le scelte operative, lo sviluppo di particolari forme di organizzazione e offerta didattica, l’individuazione di specifiche modalità di erogazione dei servizi, «rischiano di esser guidate prevalentemente da logiche di mercato, senza salvaguardia degli interessi generali del Paese, della società nel suo insieme, delle comunità accademiche di riferimento e di studenti e studentesse in particolare».
Questo problema si pone con evidenza nel caso di possibili fallimenti di università che abbiano assunto, o che assumano, la forma di società di capitali, «con il rischio di una liquidazione che non solo disperderebbe un patrimonio culturale e di ricerca, ma aprirebbe inediti problemi di salvaguardia dei percorsi formativi intrapresi dagli studenti, oltre che delle posizioni del personale».
Fonte: LaStampa