Perché ci servono lauree contro le disuguaglianze

22.04.2024
Perché ci servono lauree contro le disuguaglianze
Perché ci servono lauree contro le disuguaglianze

Il «Rapporto sul Benessere equo e sostenibile» mostra segnali di miglioramento per il nostro Paese, ma resta la posizione di svantaggio rispetto all’Europa: sul lavoro sempre penalizzate le donne

Il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), ormai giunto all’undicesima edizione, è uno strumento prezioso per monitorare e valutare come stiamo complessivamente come società. Basato su 152 indicatori raggruppati in 12 domini, dà il polso della situazione sulle risorse fisiche, patrimoniali, culturali e di capitale umano e sociale su cui il paese e i singoli possono contare oggi e in previsione in futuro. Il benessere delle persone e di una società, infatti, non è misurabile solo in termini economici, ma dipende anche dalla qualità del contesto sociale e ambientale e dallo sviluppo delle capacità di ciascuno. In questa prospettiva è importante non guardare solo ai dati medi, ma alla loro distribuzione.

Per questo il rapporto Bes fornisce dati per monitorare a che punto siamo nel ridurre le disuguaglianze non solo economiche, ma in varie dimensioni cruciali per il benessere delle persone, la qualità della vita individuale e sociale, la stessa tenuta complessiva della società: istruzione e salute innanzitutto, ma anche nel grado di inquinamento cui si è esposti a seconda di dove si vive, e del grado di sicurezza che si percepisce nei propri contesti di vita, accessibilità e qualità dei servizi, possibilità d conciliare lavoro e vita familiare e così via. Disaggregati per genere, questi dati forniscono anche una mappa articolata delle disuguaglianze di genere, che riguardano più dimensioni, in particolare nel mercato del lavoro, nel benessere economico e nella presenza negli organi decisionali, quindi nella distribuzione del potere di decidere non solo della propria vita, ma anche della direzione da prendere per la società nel suo complesso. Disaggregati a livello territoriale, offrono anche una fotografia molto dettagliata delle differenze e diseguaglianze territoriali che caratterizzano l’Italia non solo a livello economico, ma in diverse dimensioni importanti che pure dovrebbero costituire la base di una cittadinanza comune.

Al (disuguale) Bes territoriale (Best) già a dicembre dello scorso anno Istat ha iniziato a fornire anche un Rapporto ad hoc, costituito da 20 Rapporti regionali. Stante che colmare i divari regionali è uno degli obiettivi del Pnrr, i dati, per quanto incompleti, forniti da questi due Rapporti, Bes 2023 e Best 2023, dovrebbero costituire la base empirica per ogni disegno delle misure da avviare e per il loro monitoraggio, oltre che un avvertimento ineludibile per ogni programma di autonomia differenziata.

Il Rapporto del 2023, a fronte della persistenza di forti disuguaglianze di genere e territoriali, mostra miglioramenti rispetto all’anno precedente per più della metà degli indicatori, in particolare per quanto riguarda i campi (domini) del benessere economico, del benessere soggettivo e dell’istruzione e formazione. Ma nel contempo vi è stato un peggioramento in quasi il 30 per cento degli indicatori, in particolare nei campi della sicurezza e dell’ambiente, sia a livello oggettivo che soggettivo. Nonostante i miglioramenti, l’Italia continua a collocarsi in una posizione di svantaggio rispetto alla media dei paesi europei (Ue-27) per la maggior parte degli indicatori confrontabili: nell’incidenza del part time involontario, nel tasso di inattività (specie delle donne), nel basso tasso di occupazione femminile, nell’alta percentuale di Neet e viceversa nella bassa percentuale di laureati/e.

Accanto all’aggiornamento puntuale dei dati, quest’anno il Rapporto dedica un approfondimento alle disuguaglianze nel livello di istruzione, considerato una delle più importanti determinanti del Benessere. In effetti, a un livello di istruzione più elevato corrisponde un vantaggio rispetto a tutti gli indicatori economici, sociali e culturali. Particolarmente evidente la protezione rispetto ai numerosi indicatori di disagio economico. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio: è pari al 13,6 per cento tra chi ha al massimo la licenza di scuola media e scende al 2,2 per cento tra chi ha conseguito un titolo terziario. Una tendenza analoga si riscontra per il rischio di povertà reddituale: è a rischio una persona su quattro tra chi ha un titolo di studio più basso, inoltre, più di una persona ogni quattro rispetto all’8,7 per cento tra chi ha un titolo di studio alto. Avere un alto titolo di studio aumenta per le donne la possibilità di entrare nel mercato del lavoro e di rimanere occupate anche in presenza di responsabilità familiari. Ma il livello di istruzione influenza positivamente anche la salute, il benessere soggettivo (fiducia in generale e nl futuro, soddisfazione per il proprio lavoro e per le relazioni amicali). Stanti sia il persistere di forti disuguaglianze nell’istruzione e il generale comparativamente basso livello di istruzione della popolazione, anche giovane, questo nesso tra istruzione e benessere è un campanello d’allarme non solo per oggi, ma per il futuro.

Fonte: LaStampa

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